Corriere 29.3.18
Elzeviro
A un anno dalla scomparsa
Con Sartori dalla parte dei cittadini
di Gianfranco Pasquino
Pessima
 tempora . Con tutta probabilità, questo sarebbe il severo commento di 
Giovanni Sartori alla fase attuale della politica non solo italiana. 
Però, sbaglierebbe di molto chi pensasse, evidentemente avendo letto 
poco e male i suoi incisivi editoriali sul «Corriere», molti dei quali 
raccolti nel volume Mala tempora (Laterza, 2004), e per niente i suoi 
libri, che Sartori si sia limitato a critiche aspre e sprezzanti 
(peraltro quasi sempre giustificatissime).
In maniera puntuale e 
costante, Sartori combinava le critiche, da un lato, con le sue 
conoscenze comparate relative al funzionamento dei sistemi democratici, 
dall’altro, con suggerimenti e indicazioni operative. La scienza 
politica di Sartori, nutrita di storia, di filosofia, di logica, ha 
voluto essere lo strumento per trasformare i sistemi politici, per 
costruire democrazie migliori. A un anno dalla scomparsa, è giusto 
chiedersi che cosa scriverebbe, quali commenti farebbe, quali errori 
vorrebbe correggere, quali strade suggerirebbe di percorrere. Nessuna 
risposta sarebbe scontata, poiché Sartori aveva grande fantasia e 
notevole originalità, ma molto è possibile ipotizzare prendendo lo 
spunto dai suoi libri e dai suoi numerosi articoli scientifici.
È 
certo che Sartori insisterebbe sulla assoluta necessità di un’analisi 
sistemica, vale a dire di tenere conto che qualsiasi cambiamento, ad 
esempio, della legge elettorale, produce una molteplicità di effetti sui
 partiti, su chi viene eletto e sul Parlamento, indirettamente anche 
sulla formazione dei governi. Nessun governo nelle democrazie 
parlamentari è eletto dai cittadini né deve esserlo, pena la rottura del
 pregio maggiore di quelle democrazie: la loro flessibilità, con i 
governi che possono mutare composizione in Parlamento anche tenendo 
conto dei mutamenti nei rapporti di forza, nelle preferenze, nella 
società. Questa flessibilità, sottolineerebbe Sartori, può esistere e 
riprodursi soltanto nella misura in cui i parlamentari non abbiano 
nessun vincolo di mandato e non siano debitori della loro elezione a 
gruppi di pressione o ai dirigenti dei partiti, ma solo ai loro 
elettori. Migliore è quella legge elettorale, ne esiste più di una, che 
consente agli elettori di esercitare potere effettivo sull’elezione dei 
rappresentanti parlamentari e che, di conseguenza, incentiva gli eletti a
 mantenersi in contatto con coloro che li hanno votati.
La 
rappresentanza politica, tale solo se elettiva, implica, anzi, impone la
 accountability . In politica rappresentare è agire con competenza e con
 responsabilità. Nulla di tutto questo viene meno neppure in un mondo 
nel quale la comunicazione politica passa attraverso internet e 
piattaforme di vario genere. Sartori denunciò mirabilmente le 
distorsioni che la televisione e, a maggior ragione, i social network, 
possono produrre nella formazione dell’opinione pubblica. Vide rischi e 
pericoli della democrazia elettronica, ma sostenne anche che la grande 
forza delle democrazie, quelle reali, da tenere distinte da quelle 
ideali, è la loro capacità di autocorrezione.
Le democrazie che 
ciascuno di noi considera ideali sono utili a disegnare gli obiettivi da
 perseguire purché, ha sostenuto Sartori, ci si attrezzi con gli 
strumenti più adeguati, a cominciare dalle indispensabili conoscenze 
comparate. Il dialogo con lui merita di essere continuato non tanto 
perché nella sua produzione scientifica e pubblicistica si trovino tutte
 le risposte, ma perché la lezione di metodo della sua scienza politica è
 tuttora in grado di offrire grandi ricompense culturali, intellettuali,
 politiche.
 
