martedì 27 marzo 2018

Repubblica 27.3.18
Roberto Fico in bus
La normalità si fa social
di Sergio Rizzo


Un presidente della Camera che viaggia in treno in seconda classe e prende l’autobus alla fermata non è altro che la normalità. In tutta Europa è assolutamente normale per i politici, pure di rango elevato, girare con i mezzi pubblici o in bicicletta. Per non parlare delle scorte: rarissime e riservate solo ai premier e ai ministri più sensibili. Al contrario dell’Italia, dove le auto blu scompaiono solo grazie alle furbizie statistiche, e le dichiarazioni di guerra a privilegi anacronistici nascondono in realtà l’attaccamento spasmodico a tutto ciò che può rappresentare uno status.
Fino a qualche giorno fa, in questo Paese dove da almeno dieci anni i politici dicono di voler combattere risolutamente quei privilegi, la macchina di servizio con chauffeur spettante a ogni giudice costituzionale era considerata alla stregua di un “benefit” che poteva essere serenamente utilizzato anche dai suoi familiari. E nessuno si era posto il problema che fosse una pratica non proprio commendevole finché un magistrato ha sollevato la questione a proposito dell’uso dell’auto assegnata a Nicolò Zanon da parte di sua moglie Marilisa D’Amico. Soltanto allora la Corte costituzionale ha provveduto a cambiare il regolamento introducendo qualche restrizione.
In Italia sembra che quasi nulla possa opporsi al mantenimento dello status. Al punto che i casi in cui i simboli di quello status vengono messi in discussione diventano sorprendenti: tanto da meritare una notizia in prima pagina. È rimasta indimenticabile la scena di Mario Monti, fresco di nomina a senatore a vita e in procinto di assumere l’incarico di presidente del Consiglio, che cammina in aeroporto da solo indossando un loden verde e trascinando un trolley. Indimenticabile e unica. Perché tutto il resto va in direzione opposta.
Perfino a dispetto di una decisione adottata dall’ex presidente del Senato Pietro Grasso, tutta la zona alle spalle di Palazzo Madama ha continuato per anni a essere invasa da monumentali berline tedesche. E gli abitanti del quartiere da sempre letteralmente assediato dalle auto blu ricordano come fosse oggi il corteo composto da una gigantesca Audi 8 con ben due macchine di scorta che partiva ogni mattina dal palazzo nel quale alloggiava provvisoriamente uno dei predecessori di Grasso, evidentemente in attesa che venisse allestito il suo appartamento presidenziale a palazzo Giustiniani, per condurlo a Palazzo Madama: distante a piedi, sì e no, 80 metri.
In questo panorama va riconosciuto che il contrasto con le foto scattate a Roberto Fico, prima in treno e poi sull’autobus, è davvero stridente. Almeno quanto lo è il suo proposito di voler rinunciare del tutto all’indennità aggiuntiva da presidente della Camera con la sfrontatezza di un sistema autoreferenziale e opulento che ha deciso di non applicare più a chi lavora a Montecitorio e Palazzo Madama il tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici a partire dal primo gennaio. Ma sarebbe ancor più stridente se Fico in quelle foto non comparisse accanto all’uomo di scorta che lo deve evidentemente seguire ovunque. Anche se questo non dipende da lui. Liberarsi della scorta in Italia è un’impresa. Per rinunciare alla tutela l’ex ministro dell’economia Tommaso Padoa- Schioppa ingaggiò una battaglia durata un anno con gli organi competenti a gestire i problemi di sicurezza. E oggi esistono perfino casi di politici condannati a pene rilevanti per reati gravi che circolano accompagnati dalla scorta.
Detto questo, la normalità completa sarebbe quella di un presidente della Camera che sale sul treno ( prima o seconda classe poco importa, oggi ci sono tariffe di prima più scontate del prezzo di seconda) e prende l’autobus o la metro, ma senza un fotografo che lo insegua per immortalarne la normalità a sua insaputa. Soprattutto, ed è qui che la faccenda riguarda Roberto Fico, senza che il presidente senta poi il bisogno di postare le fotografie su un social, evidentemente per rivendicare la propria normalità. Umano. Ma è lì che la cosa rischia di non sembrare più tanto normale.