Repubblica 26.3.18
Dov’è finita la Sinistra
L’intervista a Marilù Chiofalo, assessore comunale di Pisa
“Il Pd è un figlio che ha preso solo i difetti dei genitori”
“Serviva
l’organizzazione dei Ds e la leggerezza della Margherita Invece abbiamo
eliminato le sezioni spingendo le persone sui social”
di Concita De Gregorio
Marilù
Chiofalo arriva all’appuntamento in bicicletta, pazienza se piove. Una
ragazza di 49 anni, molto bella. Scienziata, assessore comunale a Pisa
ancora per due mesi, fino alle prossime elezioni che - nessuno lo dice,
tutti lo pensano - il Pd è destinato a perdere. Salvo colpi di scena,
naturalmente: alle politiche Pisa ha eletto all’uninominale due
parlamentari della Lega, e il centrosinistra non ha ancora un candidato
sindaco. «La mia è una storia piccola. A chi può interessare?».
La
storia piccola è questa: laureata in Fisica, perfezionata alla Normale.
Terza di tre sorelle, nata a Reggio Calabria nell’autunno del ’68, è
arrivata a Pisa per studiare e come moltissimi ragazzi del Sud ci è
rimasta.
Insegna all’università Fisica della materia condensata.
Mi scusi, cioè? «Fisica dei liquidi e dei solidi quantistici: costruisco
teorie che servono per predire dei fenomeni». Che fenomeni?
«Per
esempio la possibilità di rivelare onde gravitazionali con atomi a
temperature bassissime». Accantoniamo la teoria dei vapori atomici
ultrafreddi, dei quali mi parla con entusiasmo come di un modello per
spiegare la vita intera.
Passiamo agli altri interessi: ha giocato (a livello agonistico) a calcio, tennistavolo e pallavolo.
Va
a cavallo. Si è diplomata in Conservatorio, suona il sax tenore in
un’orchestra. Dirige un festival musicale. È fanatica dei giochi di
ruolo («Facevamo l’alba, da ragazzi. Nottate intere»), di fumetti e di
Fantasy, ha letto il “Signore degli anelli” fino a consumarlo. Ha
promosso l’allattamento al seno materno.
Si occupa di divulgazione
scientifica alla radio. «Di recente ho fatto ai miei studenti un corso
intitolato “Back to Hogwards”, lezioni sulla fisica di Harry Potter: sa,
la realtà fisica che c’è negli incantesimi. Il giratempo e la
passaporta.
Esattamente le cose che io vorrei. Sono sempre in ritardo. Il teletrasporto sarebbe fondamentale, capisce, per me.
Anche
l’ubiquità: con sei deleghe e due lavori, e l’orchestra, la figlia». La
figlia ha vent’anni, studia ingegneria biomedica. «E la politica
naturalmente».
Sorriso. «L’esperimento di fondazione del Pd, al
quale ho partecipato con passione venivo dalla Margherita, ma senza aver
mai militato nei partiti precedenti - non è riuscito. Ma non è un
problema.
I fallimenti sono indispensabili per mettere a punto le soluzioni».
Cosa non è riuscito?
«Serviva
l’organizzazione dei Ds e la leggerezza della Margherita. Invece il Pd
ha preso l’evanescenza della Margherita e la rigidità dei Ds: come un
figlio che prenda solo i difetti di entrambi i genitori».
Che disastro. Non si poteva prevedere, evitare,
trattandosi di un concepimento in provetta?
«Si
poteva. Ma l’errore non è stato al concepimento. È successo dopo.
Quando costruisci soluzioni a problemi complessi devi stare lì al pezzo,
vedere le criticità, trovare in gruppo soluzioni, verificare: quello
che ha funzionato lo tieni, il resto lo butti. È un lavoraccio, richiede
presenza costante. L’origine del danno, nel Pd, è stata la sparizione
dei luoghi».
Intende le sezioni, i circoli. Il partito liquido?
«Ma
certo. Come puoi condividere un processo se non c’è un posto dove
farlo? Le cose non succedono da sole: le fanno le persone. I circoli
c’erano. Ma se tu decidi che la politica si fa in rete, sui social,
allora vince chi la sa fare meglio in rete. Se decidi che quella è
l’unica piazza allora le persone vanno lì a cercare risposte ai bisogni.
Glielo
dice una che viaggia con quattro dispositivi sempre accesi. La rete è
utilissima, ma le soluzioni complesse sono impossibili in assenza dei
corpi.
Se tu non parli con le persone, se non hai dei luoghi per spendere tempo fisicamente, hai perso».
Lei non crede alla capacità degli individui di informarsi in modo autonomo, in rete?
«A
parte il fatto che non tutti, specialmente le fasce deboli della
società che la sinistra dovrebbe avere a cuore, hanno un computer. Non è
un dettaglio, mi creda: non puoi pensare di far politica in rete se
prima non hai completamente digitalizzato il paese. È ovvio.
Poi
c’è un dato micidiale in Italia di analfabetismo funzionale: la ridotta
capacità di decodificare le informazioni, coglierne la gerarchia».
Che dipende da?
«La
debolezza dei sistemi culturali e didattici. Se non investi in
formazione e cultura, se non parti dalla scuola cosa fai: lasci una
massa immensa di informazioni a persone che non sono in grado di
decifrarle? E se sono informazioni errate?
Manipolate? False? Si sa che il peggio si propaga più velocemente».
È una legge della fisica?
«In un certo senso. È un modello e un’analogia. Glieli illustro?».
No, no, mi fido. D’altra parte anche a occhio: il populismo dilaga.
«Questo. Il populismo ha subito attecchito a sinistra».
Mi dica un paio di ragioni.
«L’insicurezza.
Un collega economista ieri a pranzo mi ripeteva che questa crisi
economica è più grave di quella del ‘29. Questa è globale. In questo
mare periglioso e aperto, in questa condizione di profonda incertezza
personale tu sei in cerca di risposte immediate e concrete. Sulla cura,
sul lavoro, sugli asili nido.
Le cose della vita. La sinistra ha
smesso di parlare con le persone, di ascoltarle occhi negli occhi, di
confrontarsi con loro. Le nostre soluzioni, anche quando brillanti, sono
apparse frutto del lavoro di una intellighenzia. Abbiamo fatto cose
anche molto coraggiose ma non le abbiamo veramente costruite con le
persone comuni in maniera sistematica organizzata e diffusa. Le faccio
un esempio?».
Certo.
«Le unioni civili. Un vecchio compagno
che viene dal Pci, sui sessant’anni, mi ha detto: ma non avete capito
che a noi delle unioni civili importa poco o niente, ci interessa la
sicurezza negli spazi cittadini? Non è un episodio isolato. La politica è
costruzione di risposte ai bisogni, ma è anche progettazione del
futuro. In entrambi i casi devi fare una gerarchia delle priorità e
saperle condividere. Andare in tv non basta».
L’ha sorpresa il risultato elettorale?
«Per
niente, purtroppo. Un evento quando accade è la fine di un processo,
non l’inizio. La vittoria di Lega e Cinque stelle è un esito. Si poteva,
anzi si doveva arginare».
Crede che il Pd perderà Pisa?
«Spero
di no, ma alle politiche siamo andati sotto, in città, in favore del
centrodestra a trazione Lega. Il centrodestra ha superato il Pd. È vero
che il voto amministrativo è diverso, ma...
Insomma. Non è che
negli ultimi due mesi prima dell’esame, se non hai studiato tutto
l’anno, ce la fai. Dovremmo fare una coalizione di tutto il
centrosinistra. Speriamo che sia ancora possibile».
Si è pentita di essersi dedicata alla politica?
«Assolutamente
no. Mi è piaciuto lavorare perché la pratica fosse aderente al modello.
Fare in modo che il partito fosse veramente popolare: discutere nei
quartieri, lavorare dal basso.
Dove è accaduto, ha funzionato».
Cosa farà dopo il voto?
«Da
fine maggio in poi ho due o tre viaggi di lunga durata negli Stati
Uniti, sarò visiting fellowship in Colorado, poi a Stanford».
Non mi ha detto quali sono le sue sei deleghe, da assessore.
«Educazione, tecnologie ed educazione alle scienze, pari opportunità, valori memoria e cultura della legalità.
Anticorruzione. Attuazione del codice etico».
Importanti. Anche se immagino che non siano considerate cruciali, in giunta.
«Infatti. Entusiasmanti, tuttavia. Fondamentali».
Se le chiedessero di lasciare l’università per restare in politica lo farebbe?
«Che domanda... No, ora no.
Prendo un sabbatico. Magari al ritorno. Ma poi chissà cosa sarà successo, fra un anno, al mio ritorno», ride.