Il Fatto 26.3.18
Caduto Renzi, ora sono tutti contro l’aeroporto di Carrai&C.
L’aria
è cambiata. Sette sindaci del fiorentino portano in tribunale il
raddoppio della pista di Firenze. E il finanziere sbotta: “Ridicoli”
di Davide Veccchi
Firenze,
teatro dell’ascesa di Matteo Renzi, è ora palco per i primi atti della
caduta. Sette sindaci di altrettanti Comuni attorno al capoluogo hanno
presentato ricorso al Tar contro il raddoppio della pista dell’aeroporto
Peretola. Un progetto avviato nel 2014, già finanziato per 370 milioni
di cui 150 dallo Stato, con master-plan approvato e procedura Via, oltre
a specifici atti depositati all’Enac che nessun altro scalo ha: la
Valutazione dell’impatto del rumore aeroportuale (Vis) e lo studio sul
rischio aeronautico. Ormai manca solamente il via libera dalla
conferenza dei servizi, poi i lavori possono iniziare.
L’opera
negli ultimi anni è stata oggetto di molte critiche da parte di comitati
di cittadini e di associazioni supportate da partiti di opposizione ma
senza il sostegno aperto degli amministratori, rimasti al mugugno. Il
presidente della Regione, Enrico Rossi, riconfermato nel 2015 alla guida
della Toscana sotto la bandiera del Pd, aveva inserito l’opera come
punto qualificante del suo programma di governo. E nessun consigliere
della maggioranza si è espresso in tutti questi anni contro il progetto.
Tra i Comuni nel tempo si è fatto sentire quello di Lastra a Signa che
però da 20 anni deve realizzare una cassa di espansione prevista nel
piano regolatore ma non riesce per mancanza di fondi e così l’Adf
(società aeroporti di Firenze) si è fatta carico dell’onere e la
costruirà a proprie spese. Anche la giunta di Prato ha sollevato delle
critiche alla fattività. Ma decisamente blande. Fino a pochi giorni fa
quando i sette sindaci di Lastra a Signa, Prato, Calenzano, Campi
Bisenzio, Carmignano, Poggio a Caiano e Sesto Fiorentino hanno
depositato a sorpresa il ricorso al Tar. A sorpresa e con modi e tempi
quasi incomprensibili. Per mettere a fuoco l’accaduto è d’aiuto
indossare le lenti della politica.
Presidente di Adf è Marco
Carrai, l’amico e fedelissimo fundraiser di Matteo Renzi. Fu lui a
insediarlo alla guida degli aeroporti fiorentini prima di conquistare
Palazzo Chigi e fu lui, da premier, a inserire nel decreto Sblocca
Italia i primi 50 milioni di stanziamenti pubblici destinati allo scalo.
Il Pd era compatto e renziano e aveva nella Toscana il regno e in
Firenze il principato. Caduto il reggente gli equilibri variano. Rossi è
uscito dal partito aderendo agli scissionisti guidati da Pierluigi
Bersani. Rimane a favore dell’aeroporto, ma apertamente contrari si sono
espressi i vertici regionali di Liberi e Uguali che dopo il voto del 4
marzo sono stati riassorbiti dalla direzione del Pd Toscana: dei cinque
“capi” tre sono dem, due di ex compagni usciti dal partito, tra cui
proprio LeU. E anche in Regione la consigliera Serena Spinelli, l’unica
ad aver seguito Rossi fuori dal Pd, si è espressa a sostegno dei sindaci
contrari alla pista.
Ecco, i sindaci. Tra i sette, cinque sono
del Pd. Spicca Matteo Biffoni, primo cittadino di Prato e fedelissimo
dell’ex premier che lo ha inserito nella segreteria dem sia nazionale
sia regionale. Per questo quando Carrai pochi giorni fa si è ritrovato
davanti la lista dei suoi oppositori è uscito dal silenzio e convocato
una conferenza stampa. E non ha usato toni propri dei soprannomi che lo
accompagnano: il Richelieu o il Gianni Letta di Renzi. “Basta alle
minchiate e a chi chiede cose irrealizzabili”, è stato l’esordio.
“L’aeroporto è dello Stato, dichiarato strategico da più governi, in
mano a una società che gestisce 54 aeroporti”. Poi lo sfogo: “Ci
domandiamo il perché di certi ricorsi, nessuno dei Comuni che l’hanno
fatto è coinvolto nelle modifiche di Peretola a parte quello di Sesto”.
Ancora: “Sono ricorsi surreali, a Prato gli aerei passano più alti che a
Londra su Buckingham Palace”. Insomma: nessuno può oggi lamentarsi di
nulla. Tanto che, garantisce, “entro l’anno poseremo la prima pietra,
senza bisogno di aspettare la sentenza”. Di fatto con il via libera
della conferenza dei servizi, i lavori possono iniziare e se il Tar nel
frattempo dovesse dar ragione ai ricorrenti, la società si appellerà al
Consiglio di Stato. Insomma se va bene finisce a carte bollate e con
un’opera pubblica come le molte di Italia 90: realizzata a spese dello
Stato e mai utilizzate. Se va bene.