lunedì 26 marzo 2018

Il Fatto 26.3.18 
Brigate rosse
Volevano essere rivoluzionari. Furono soltanto parassitari
di Gian Carlo Caselli


Una cosa che ci riporta altro che alle caverne… Fare la vittima è diventato un mestiere… La vittima è una figura stramba”. Parole vergognose e senza senso, pronunciate da una pluriassassina come la brigatista Barbara Balzerani. Roba che – trasferita in una cartella clinica – si tradurrebbe in frustrazione, impotenza, rancore e rabbia per il fallimento della “lotta armata”. Un cervello imprigionato nel fanatismo del passato, alimentato dall’odio e dal proposito di distruggere in un quadro che è stato di sostanziale “subalternità politica”.
La storia delle Br è contrassegnata da attacchi al “cuore dello Stato” di crescente ferocia, sempre compiuti quando il nostro Paese cercava – per un verso o per l’altro – di cambiare. Il primo di questi attacchi (sequestro Sossi, 1974) irrompe nel pieno della campagna referendaria per il divorzio, una novità dirompente rispetto alla nostra vecchia cultura. Il secondo (strage Coco-Saponara-Dejana, Genova 1976) avviene nel bel mezzo di consultazioni elettorali amministrative che fanno registrare spostamenti percentuali in doppia cifra con una notevole avanzata dei partiti di sinistra, chiamati a governare alcune grandi città. Il terzo (sterminio della scorta, sequestro e uccisione di Moro, Roma 1978) coincide con la formazione di un governo nazionale che per la prima volta – esclusa una breve esperienza subito dopo la fine della guerra – vede collaborare insieme maggioranza e opposizione.
Tutto ciò significa che le Br, a dispetto delle pallosissime “risoluzioni strategiche”, sono state incapaci di una autonoma linea politica. Erano piuttosto parassiti di quella nazionale, a rimorchio delle scelte altrui indirizzate (utilizzando gli strumenti della democrazia) a cambiamenti di forte impatto. Non ci sono elementi sufficienti per dire che le Br fossero “eterodirette”, ma è evidente come fossero politicamente “subalterne”. Nemiche di ogni cambiamento, non riescono ad impedirlo nel 1974 e nel 1976. Ci riescono nel 1978 con Moro, provocando nel sistema uno sconquasso profondo dal quale neppure oggi, forse, ci siamo pienamente ripresi. La riprova che in democrazia il terrorismo non ha mai risolto alcun problema. Semmai ha aggravato quelli esistenti o ne ha ostacolato/impedito la soluzione.
E tuttavia, si diffonde il malvezzo di chiamare in cattedra proprio i protagonisti negativi della stagione del terrorismo. Così, gli anni che essi hanno violentato e insanguinato vengono rievocati trasformando esperienze scellerate in modelli positivi. Una perdita della memoria che occulta il passato, sottovalutando profondamente il pericolo che esso ritorni.
Non esistono, come vorrebbero far credere la Balzerani e i suoi epigoni, verità delle Br da contrapporre alle vittime. Confondere vittime e assassini può soltanto provocare incertezza e confusione su temi che esigono invece serietà e chiarezza. Se poi a pontificare sono terroristi usciti dal carcere, vien da aggiungere che la pena espiata non è certo servita alla “rieducazione” voluta dalla Costituzione. E comunque non sta scritto – in nessun comma della Carta – che i condannati per fatti di terrorismo debbano tendere…. alla rieducazione dei cittadini.