Repubblica 24.3.18
Paolo Rossi
“Torno in scena e improvviso come Best”
Intervista di Anna Bandettini
MILANO
Ho smesso di bere due anni fa. Stavo in un bar, ho ordinato un gin
tonic e ho sentito come una mano sulla spalla che mi teneva il braccio.
Magari era solo una periartrite, io però ho guardato il bicchiere, l’ho
spostato verso il barista. E da allora non ho più toccato alcol». Lo
strano destino che ha fatto di un grande talento comico, un uomo caduto,
sperso e ora di nuovo un artista maturo e consapevole, Paolo Rossi lo
racconta sereno e senza schermi. Nel cortile del Piccolo Teatro ha
l’aria disordinata di sempre, i capelli grigi arruffati, coppoletta
nera, barba lunga, cappotto nero con le tasche rigonfie, in mano un
sacchetto di libri. Eppure è trasformato: non più la vita un po’
delirante e frastornata. Ma un tempo più reale, tranquillo, vicino ai 3
figli, al padre novantenne che non sta bene. Il nuovo Paolo Rossi è
quello di Sanremo che ha duettato con ironia con Lo Stato Sociale, che a
gennaio alla Scala ha fatto morir dal ridere i melomani con un comizio
politico nel ruolo del carceriere Frosch nel Pipistrello di Strauss. Ma
anche il Paolo Rossi che è tornato nei locali, nei teatrini, senza scene
e costumi, con il solo lusso del chitarrista Emanuele Dell’Acqua, senza
un copione, solo con la memoria di gag, battute, lazzi in un recital
davvero divertente, L’Improvvisatore 2. Da tempo la comicità per lui è
soprattutto dialogo diretto col pubblico. E poi sogna di fare un’altra
regia lirica: «Mi piacerebbe fare un Barbiere di Siviglia in un’osteria.
Analcolica ovvio».
Allora è stata la periartrite a farla chiudere con la vita di prima?
«Credo
proprio di no. A volte la vita è fatta di montagne russe. Se indago
sulle cause di quello che ero, mi dico che era per i ritmi di lavoro, ma
quelli ci sono anche adesso. Forse dovevo mettere in discussione
qualcosa, esplorando i lati oscuri.
Ma credo nelle ritornanze e
ora per me è una nuova fase. La lucidità è un grande regalo specie in
una persona con la mia creatività. Scopri cose paradossali. Per esempio
non ci s’immagina quante persone si perdono con la lucidità».
Ma come? Le relazioni dovrebbero migliorare.
«No, le perdi, a partire dal bar dove non ti parlano più, perché non stai più lì a sparare cazzate per due ore.
E
poi tante persone con cui hai rapporti di lavoro: quando bevi sei più
vulnerabile, sei più controllabile. Se sei lucido, per loro sei strano. È
per via del money, i soldi».
Lei ne ha sperperati tanti?
«George Best diceva: io nella vita ho speso molto in alcol, donne e macchine. Il resto l’ho sperperato».
Come mai cita il calciatore di Belfast?
«Sarà
nel sottotitolo del mio nuovo spettacolo: “da Moliere a George Best”.
Perché? Perché Best è stato quello che ha inventato l’improvvisazione
nel calcio. E perché era il soprannome che mi avevano affibbiato quando
giocavo in una squadra satellite della Spal da ragazzino. Ero bravo? No,
ma lo imitavo: capelli lunghi, calzettoni arrotolati, aria guascona».
Nello spettacolo si parlerà di Best?
«Lavorerò
sull’improvvisazione. Mi interessa l’attore che non pensa o semmai lo
fa col corpo, non con la testa. Questo facilita il dialogo col pubblico.
Come comico o sei uno che rifà le battute del passato, o rincorri la
cronaca, o cerchi di immaginare il futuro. Io debuttai con L’opera da
tre soldi nel giorno in cui scoppiò Tangentopoli, ho scritto
L’
invincibile armata sul presidente di una squadra di calcio che vuole
diventare politico prima che Berlusconi comprasse il Milan… qualche dote
per il futuro ce l’ho. Il nuovo spettacolo sarà proiettato in avanti,
poco fantasy e molto legato al reale. Debutteremo a giugno al Teatro
Menotti di Milano».
Le piace la nuova satira, molto legata al web?
«Nel
’95 dopo Su la testa e Il Laureato ho detto questa satira è finita: mi
riferivo alla parodia sui politici. Perché i politici, ma non solo loro,
oggi recitano meglio degli attori. È la società dello spettacolo non
nel senso di Guy Debord ma della profezia di Andy Warhol: tutti si
esibiscono. L’attore allora deve trovare altre vie».
Le imitazioni?
«Non
giudico i colleghi, ma un politico che non ha un imitatore, oggi non
vale niente. All’inizio si arrabbiano, poi ti fanno i complimenti.
Finisce che ti chiedono i consigli».
Una battuta su Di Maio o Salvini la farebbe?
«Dovrei essere molto stanco».
E di Grillo e il suo movimento che dice?
«Non
mi piacciono i partiti, preferisco i movimenti. Ma i 5 Stelle no, non
stimo chi entra in Parlamento. Sono anarchico e posso permettermelo
perché non lavoro all’Ilva. Sono l’unico caso in cui, candidato per un
equivoco, non sono andato a votarmi, perché mi sono guardato allo
specchio e non mi fidavo di me stesso».