sabato 24 marzo 2018

Repubblica 24.3.18
La sfida finale alla stagione del cavaliere
di Stefano Folli


Difficile immaginare una mossa più spregiudicata di quella compiuta ieri da Salvini (e non certo «per fare un favore a Berlusconi», come ha chiosato un altro esponente di primo piano della Lega, Giorgetti).
Fino a pochi mesi fa una sfida così irriverente non sarebbe stata nemmeno concepibile. Ma il 4 marzo rappresenta un cambio di stagione politica. La conseguenza è che per la prima volta a Berlusconi si vuole imporre non solo un candidato scelto in casa sua contro la sua volontà, ma soprattutto un ruolo subordinato nell’alleanza. Anna Maria Bernini è lo strumento più o meno inconsapevole di questa operazione: può fare la sua corsa lungo un sentiero inesplorato ovvero rendersi conto lei stessa dell’opportunità di ritirarsi. Ma le macerie restano. Per cui Berlusconi si trova a dover decidere in fretta cosa fare. La frattura del centrodestra può durare una notte e ricomporsi stamane con qualche cerotto intorno a una terza figura che non sia né la candidata imposta da Salvini né un Paolo Romani sottoposto alla logorante doccia scozzese in cui si riassume il tramonto del vecchio mondo berlusconiano.
Se Berlusconi pensa a ciò che più gli conviene, anziché all’orgoglio ferito, può voltare pagina e convergere su un nome nuovo che avrebbe la strada spianata: ad esempio Elisabetta Casellati.
Viceversa l’anziano leader può denunciare, come ha fatto a caldo, la spaccatura definitiva del centrodestra.
In tal caso ognuno dovrà badare a se stesso in una prospettiva tutt’altro che incoraggiante. Salvini con il suo 17 per cento sarà messo di fronte ai Cinque Stelle che hanno quasi il doppio dei voti, condannato quindi a essere il loro alleato minore (in una combinazione che non avrebbe peraltro i numeri parlamentari per governare). Berlusconi invece sarà spinto ai margini con il suo 14 per cento, non più in condizione di orientare gli eventi e di gestire i suoi interessi.
In genere nell’uomo ha sempre prevalso il pragmatismo, ma è pur vero che la vicenda attuale è senza precedenti.
Limitare i danni oggi significa che a destra tutti devono valutare i pro e i contro della divisione. A Salvini non può piacere di trovarsi a tu per tu con Di Maio se questo vuol dire mettere a rischio, o comunque in grave turbolenza, le alleanze con Forza Italia nelle grandi regioni del Nord. È chiaro che la strategia del leghista consiste nell’assorbire giorno dopo giorno i consensi berlusconiani e lo strappo di ieri rende l’idea in modo plastico. Ma affrettare i tempi, giusto all’inizio di una legislatura che si prevede breve se non brevissima, può essere controproducente.
La politica ha le sue logiche e ignorarle non sempre porta fortuna.
Quanto a Berlusconi, non può non sapere che un ballottaggio fra Romani e Anna Maria Bernini, nel momento in cui rende plateale e non più rimediabile la fine del centrodestra, consegnerebbe di sicuro la vittoria alla seconda, lungo l’asse Lega-M5S. Dopodiché sarebbe un’altra storia, senza che il vertice di Forza Italia — o ciò che ne rimane — sia in grado di inaugurare un “secondo forno” in tempi brevi. Il “forno”, ossia l’alleato alternativo, può essere solo Renzi, l’altro perdente del 4 marzo. Ma non è prevedibile una rapida convergenza fra i resti berlusconiani e il fronte renziano.
Prima occorre immaginare una scissione del Pd che oggi non è alle viste. Quindi i tempi sono sfasati anche per la nascita di un eventuale raggruppamento centrista. Che avrebbe bisogno anche di una legge elettorale adeguata. E qui si entra nel futuribile, mentre la cronaca racconta della guerra lampo di Salvini.