il manifesto 24.3.18
Palazzo Madama, la destra si fa la guerra e salta in aria
Saluti
Romani. La Lega molla Romani e vota la forzista Berinini. Berlusconi
furioso: rotta la coalizione. La candidata non ci sta. Fi: «Alla camera
Giorgetti». Il leghista: «Pronti a votare un 5S» . Il torneo di oggi si
apre al buio. Si vedrà nell’urna se rimettere insieme i cocci è ancora
possibile
di Andrea Colombo
La bomba esplode nel
tardo pomeriggio. Nessuno se l’aspettava. Solo Silvio Berlusconi era
stato messo al corrente in anticipo della mossa dirompente decisa dal
Carroccio: «Nella seconda votazione non voteremo scheda bianca ma Anna
Maria Bernini. E’ l’unico modo per impedire l’abbraccio tra Movimento 5
Stelle e Pd». Risposta gelida: «Ne prendo atto».
QUANDO GIORGIO
NAPOLITANO legge le schede, a votazione chiusa, quei voti ci sono
davvero. Il nome della vicepresidente del gruppo forzista, sul quale
avevano già espresso parere favorevole tutti prima che Forza Italia
decidesse di puntare sull’unico nome considerato invotabile dai 5
Stelle, il capogruppo Paolo Romani, risuona 57 volte. I senatori
leghisti sono 58 ma Umberto Bossi (il suo portavoce però smentisce)
avrebbe sbagliato dimenticandosi la B: «Ernini».
La reazione di
Silvio Berlusconi è durissima, tanto da non lasciare quasi spazio alla
diplomazia. Quei voti «sono da considerarsi un atto di ostilità a freddo
della Lega che da un lato rompe l’unità della coalizione di
centrodestra e dall’altro smaschera il progetto per un governo
Lega-M5S». Una dichiarazione di guerra che riflette la frase pronunciata
da un Cavaliere fuori di sé dopo la telefonata di Matteo Salvini: «Lo
sapevamo dall’inizio che avrebbe tradito».
«TRADIMENTO!
TRADIMENTO!»: è la parola pronunciata più spesso nel consiglio di guerra
che Berlusconi convoca subito dopo aver diramato il comunicato al
tritolo. Proprio per costringere Salvini a provare la sua «fedeltà»
viene decisa una mossa a modo suo subdola: Forza Italia accetterà di
votare qualsiasi senatore azzurro, «a partire da Romani», purché il
Carroccio, in cambio, si impegni a non votare alla Camera per il
candidato dell’M5S eleggendo invece il leghista Giorgetti. Solo così
Salvini dimostrerà di non essere un Giuda.
24desk bernini
E’
la stessa logica con la quale lo stato maggiore azzurro aveva deciso di
puntare solo su Romani: usare l’elezione dei presidenti delle Camere
per far saltare i ponti con M5S e ridimensionare così quel Salvini di
cui ora Berlusconi dice apertamente che «si è montato la testa». Ma è
anche la logica che ha spinto Salvini verso una mossa la cui valenza
dirompente forse non aveva calcolato a fondo neppure lui: impedire che
le nomine istituzionali siano usate come viatico per un’intesa tra
destra e Pd. La diffidenza reciproca, la competizione per la leadership
della coalizione, la distanza tra strategie opposte, una orientata verso
M5S, l’altra verso il Pd, sono gli elementi che, miscelati, hanno
portato alla spaccatura forse insanabile di ieri.
LA LEGA FA
PASSARE ORE prima di replicare alla furiosa nota di palazzo Grazioli.
Poi Salvini dichiara: «Vista la disponibilità dei 5 Stelle a sostenere
un candidato del centrodestra alla presidenza del Senato, noi ne
appoggeremo uno dei 5 Stelle alla Camera. Aspettiamo di conoscere nomi».
Solo Giorgetti minimizza ironico rispondendo a Berlusconi: «Esagerato!
Gli abbiamo fatto un favore».
Il Cavaliere, su tutte le furie,
riunisce lo stato maggiore del suo partito. Convoca Anna Maria Bernini
per chiederle di smarcarsi dall’«uso strumentale» che del suo nome sta
facendo la Lega e infatti la candidata suo malgrado esce da palazzo
Grazioli e poi twitta: «È evidente che sono indisponibile ad essere il
candidato di altri senza il sostegno del presidente Berlusconi e del mio
partito».
IL VERTICE INTANTO RIPIEGA verso il gioco d’astuzia consistente nel chiedere a Salvini la «prova d’amore» a Montecitorio.
M5S
incassa soddisfatto. «Siamo disposti a votare Bernini o un profilo
simile», taglia corto Di Maio senza neppure aspettare la riunione del
gruppo convocata per questa mattina. «In fondo – spiegano i 5S – abbiamo
detto no a Paolo Romani solo perché condannato». Problema che non si
presenta nel caso di Anna Maria Bernini e neppure in quello di
Elisabetta Alberti Casellati, il nome sul quale probabilmente meditava
di convergere Salvini, come formula di mediazione, una volta convinto il
Cavaliere a non irrigidirsi su Romani.
IL PD RESTA IMMOBILE.
Renzi si schermisce: «Perché chiedete a me? Parlate con Martina». Poi
però parla: «Tocca a loro risolvere. Lo dico da 5 marzo». Eppure,
nonostante l’immobilismo, il possibile ruolo del Pd ha pesato nel
determinare la precipitazione di ieri. Per ore si sono rincorse voci su
una possibile «contromossa» di M5S: votare a favore del capogruppo
uscente del Pd Luigi Zanda per mettere la destra alle corde. I numeri
sarebbero bastati. Zanda sarebbe stato eletto. Impedire quel possibile
passo, del quale non è però mai arrivata conferma, è stata infatti la
spiegazione adoperata da Salvini per giustificare la rottura.
Il
torneo di oggi si apre al buio. Si vedrà al momento dei voti se
rimettere insieme i cocci della destra è possibile. Ma stavolta ci
saranno per forza un vincitore e un vinto.