sabato 24 marzo 2018

Il Fatto 24.3.18
Altro che Zucca il problema è la tortura
di Alessandro Mantovani


Il problema è Enrico Zucca, il pm del processo Diaz che spesso parla in modo urticante, o piuttosto non si riesce a sciogliere il nodo della tortura? Zucca è additato alla pubblica esecrazione e rischia un processo disciplinare al Csm per aver detto che l’Italia ha difficoltà a farsi consegnare dall’Egitto i torturatori di Giulio Regeni anche perché le nostre forze di polizia “non hanno consegnato nessuno dei torturatori” del G8 di Genova 2001, anzi “quelli che hanno coperto i torturatori erano e sono i vertici, o ai vertici, delle forze di polizia”. Uno dei primi ad attaccarlo è stato Franco Gabrielli, l’attuale capo della polizia, che con il G8 di Genova non c’entra e un anno fa aveva chiesto scusa per la Diaz, aveva reso onore allo stesso Zucca e aveva detto che Gianni De Gennaro, il capo della polizia dell’epoca, avrebbe fatto bene a dimettersi, suscitando forti malumori interni.
Eppure Zucca ha le sue ragioni. Il riferimento immediato, ancorché implicito, era a Gilberto Caldarozzi, uno dei dirigenti condannati per falso nel processo Diaz e ritenuto non meritevole di affidamento in prova al servizio sociale, ora reintegrato e nominato vicedirettore della Direzione investigativa antimafia (Dia). Il punto è che la Corte europea dei diritti umani ha qualificato i fatti della Diaz come tortura e, nel processo, è emerso che le molotov e gli altri falsi dei verbali probabilmente servivano anche a coprire le violenze. Ma la questione va ben oltre Caldarozzi, che peraltro ha pagato più di altri mentre De Gennaro è tuttora capo di Leonardo/Finmeccanica.
“Non ci hanno consegnato nessun torturatore” non è una battuta infelice ma la sintesi di quanto è accaduto per la Diaz e per tutti i fatti in cui le forze dell’ordine, il 20 e del 21 luglio 2001, agirono in spregio dei diritti costituzionali. I vertici, operativi e politici, coprirono tutto. Non hanno consegnato nemmeno il quattordicesimo firmatario dei falsi verbali della Diaz, un caso limite di ufficiale di polizia giudiziaria anonimo grazie a una firma illeggibile. Molti imputati sono stati promossi. Non c’è stato un solo procedimento disciplinare serio, un allontanamento, una destituzione (come invece può avvenire quando un poliziotto o un carabiniere vengono beccati con uno spinello). Vale per la polizia e anche per i carabinieri e la penitenziaria di Bolzaneto.
Del resto perfino la Procura genovese fu in parte complice della mattanza: basti pensare al differimento preventivo dei colloqui con gli avvocati senza il quale non sarebbe stato possibile l’inferno di Bolzaneto o allo scarso sostegno dei capi all’azione di Zucca e di altri pm. Non si può dire che la magistratura italiana fece sentire il suo peso. E oggi il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini attacca Zucca ancora prima di Gabrielli e il leader dell’Anm Eugenio Albamonte ne censura la presunta “animosità”.
Fu innanzitutto la politica – il governo Berlusconi ma anche i vertici Ds dell’epoca – a rendere possibile e a coprire, se non a ordinare, le violenze di Genova 2001, la repressione feroce di un movimento che contestava e ridicolizzava i vertici internazionali in cui si celebravano la globalizzazione e quello che allora si chiamava “pensiero unico”. Altre responsabilità le porta l’informazione che tesseva le lodi dei superpoliziotti piazzati da De Gennaro nei posti chiave e pizzicati col sacchetto delle molotov nel cortile della Diaz. Erano entrati nella scuola pochi minuti dopo l’inizio della mattanza, ma i torturatori sono rimasti senza nome.
L’Italia non è l’Egitto, come ha ovviamente sottolineato Zucca, per quanto siano avvenuti negli anni 70 e 80 fatti gravissimi di tortura ai danni di terroristi e presunti tali. Dopo Genova tante cose sono cambiate in materia di ordine pubblico e con Gabrielli, l’abbiamo visto, chi sbaglia paga. Ma nelle forze di polizia ci sono ancora sacche di autoritarismo fascistoide, impreparazione e scarso rispetto delle procedure. La magistratura è spesso disattenta, come ha dimostrato anche il caso di Stefano Cucchi: otto anni per iniziare il processo ai carabinieri. E il Parlamento uscente ha approvato una legge sulla tortura che non risponde ai principi della Corte di Strasburgo: non sarebbe applicabile neanche alla Diaz, a Bolzaneto o al caso Cucchi perché richiede comportamenti reiterati; non prevede la destituzione dei condannati. L’Europa va bene quando chiede tagli alla spesa pubblica, ma sui diritti umani e civili si fa come se non esistesse.