venerdì 23 marzo 2018

Repubblica 23.3.18
Tre scenari nel gioco del potere
di Piero Ignazi


Oggi si alza il sipario sulla nuova legislatura. Il sistema partitico è stato sconvolto dalle elezioni del 4 marzo. In virtù della nuova legge elettorale sono radicalmente cambiati i rapporti di forza in Parlamento: la pattuglia Pd si è ridotta drasticamente a favore dei 5 Stelle e della destra, leghista in particolare. Ora il sistema partitico è di fronte a un bivio. O si congela nell’assetto tripolare dove ognuno rimane impermeabile agli altri, oppure passa a un confronto bipolare, vale a dire, ritorna a quelle alternanze di schieramenti che abbiamo conosciuto dal 1994 al 2013.
In questo caso abbiamo due ipotetici fronti contrapposti: da un lato, una configurazione che ricalca in qualche misura la divisione destra-sinistra; dall’altro, una che passa per la nuova frattura che attraversa tutta Europa, quella tra establishment e anti- establishment.
La prima rimanda a una confrontation tra, da un parte, il centro- destra, ora a trazione leghista ma tutto sommato compatto in quanto condivide il governo di tre Regioni e, soprattutto, è composto da elettorati alquanto omogenei; e, dall’altra, una inedita alleanza tra Pd e 5 Stelle.
Su quest’ultima ipotesi si è molto ricamato considerandola lo sbocco naturale della crisi del Partito democratico. In realtà questa opzione non originerebbe affatto dai democratici che possono invece permettersi il lusso di stare alla finestra per un giro e guardare dall’alto gli affanni degli altri. Si tratterebbe semmai di una richiesta quasi disperata dei 5 Stelle che non sanno come utilizzare il loro 32% e sono quindi costretti a chiedere aiuto al Pd pur di formare un governo.
A favore di questa soluzione gioca la maggiore sensibilità dei pentastellati nei confronti di temi classicamente di sinistra ( welfare universale, ad esempio) o condivisi dalla componente cattolica dei democrat ( aiuti alla natalità, ad esempio). Ovviamente le due formazioni sono divise da una profonda, reciproca, diffidenza e dalle scorie di una conflittualità violentissima, oltre che da vari punti programmatici divergenti. Tuttavia, nel sentire della sinistra, l’opposizione alla destra è molto più radicata per motivi storici — dalla acquiescenza verso il neofascismo di Berlusconi e Salvini ( per non dire della Meloni) al ventennale antiberlusconismo — rispetto a quella verso i “populisti” grillini. A meno di considerare il successo del Pd nei quartieri ricchi delle metropoli un segno della mutazione del partito verso ambienti e preferenze così moderati da orientarlo preferibilmente verso Forza Italia piuttosto che verso il M5S.
A questo scenario, che richiama per certi versi la classica divisione destra- sinistra, si contrappone quella tra partiti dell’establishment (Forza Italia e Pd, pur nelle loro differenze) e partiti anti- establishment ( Lega, FdI e 5 Stelle). Questa diversa configurazione ha un terreno comune assai più ristretto, limitato ai temi anti- politici ed euroscettici, ma condivide la spinta innovatrice, e persino disgregatrice, del “vecchio ordine”. Si tratta però di un’unione dal carattere strumentale, priva di un terreno programmatico comune, volta piuttosto a sviluppare una nuova dinamica politica, nuovo contro vecchio.
Ma se il M5S accettasse l’alleanza con i leghisti manderebbe all’aria tutto lo sforzo di accreditamento come forza “responsabile” intrapreso a tappe forzate negli ultimi mesi. Anche la Lega pagherebbe dei prezzi perché la rottura con Forza Italia trascinerebbe con sé la fine dei governi locali amministrati dal Carroccio. Inoltre, l’alleanza con Di Maio è una strada senza ritorno per Salvini: o vince la sfida con i 5 Stelle per l’egemonia nella futura alleanza di governo e diventa centrale nel panorama politico italiano, o perde tutto.
Nell’una e nell’altra configurazione si ritorna a un conflitto bipolare che consente di innescare nuovamente una politica di alternanza. Il tripolarismo degli ultimi cinque anni andrebbe in soffitta. I 5 Stelle, inevitabili protagonisti dell’una o dell’altra opzione, diventerebbero i principali responsabili delle politiche governative, con tutto quello che ne deriva. Sarebbe per loro la definitiva prova di maturità. Dove però si rischia anche una sonora bocciatura.
Rimane infine un’altra possibilità, ventilata nelle ultime ore, quella di un accordo tra tutto il centro-destra e il M5S. Che Berlusconi abbia cambiato radicalmente idea sui grillini nell’arco di qualche nanosecondo non sorprende; ma non basta, perché dall’altra parte non ci sono appigli per giustificare una tale scelta. L’antiberlusconismo del M5S è molto radicato in quanto il Cavaliere incarna ai loro occhi la quintessenza dell’establishment, della corruzione, dei poteri occulti, delle collusioni con interessi inconfessabili e quant’altro. Tra l’altro, i pentastellati hanno in programma interventi sul conflitto d’interessi e sull’assetto radiotelevisivo.
Certo, la politica italiana ci ha abituato a tutto, ma è difficile che venga fatto un regalo così grande al Pd che rimarrebbe l’unico partito all’opposizione. In questo caso, ma solo in questo caso, la parola d’ordine dello splendido isolamento ha un benefit politico. Altrimenti, se questa unione “ contronatura” di centro- destra e M5S non si realizza, allora il Pd è costretto prima o poi a prendere delle decisioni. Certo però che è meglio astenersi piuttosto che entrare in gioco per ottenere le vicepresidenze delle assemblee.