La Stampa 23.3.18
Silvio mette in trappola i due vincitori
di Lucia Annunziata
Per
diciannove giorni esatti, due uomini, Matteo Salvini e Luigi Di Maio,
hanno girato l’Italia in lungo e in largo, in un tour della vittoria,
raccontando a tutti di aver vinto le elezioni. Intessendo intorno a
questo concetto un racconto fatto di emozioni («saremo sempre fedeli a
chi ci ha scelto») e parole d’ordine («nulla sarà come prima») che ha
rapito anche le migliori menti nella seduzione di una idea -
l’inevitabilità di un governo Lega-M5S, dannazione, disperazione,
entusiasmo, come preferite, in Europa, in Usa, in Russia.
Ma, come
nelle favole, a 24 ore dall’inizio della prima scelta che avvia la
strada per formare un esecutivo, tutto svanisce, e i due uomini, Salvini
e Di Maio, come la ragazza che porta la ricottina al mercato, scoprono
che la vittoria nelle urne è stata solo un rapido sguardo riflesso in
uno specchio. Avevano fatto un accordo che contentava entrambi: al primo
la presidenza del Senato, al secondo la presidenza della Camera. Intesa
viatico di un futuro accordo di governo.
Salvo scoprire che per
fare un governo ci vuole ben altro dei voti fin qui raccolti, e molto
molto altro che una semplice somma numerica.
È bastato che si rialzasse dal suo dispiacere il vecchio leone della politica italiana, per scompigliare ogni progetto.
Nelle
prime ore dopo i risultati sembrava morta, Forza Italia. Vergognosa,
schiacciata dal sorpasso inflittogli dalla Lega. Poi, tre giorni fa
l’arrivo a Roma di Silvio Berlusconi.
A differenza degli altri
leader che hanno solo partiti, il Cavaliere può contare anche su una
poderosa macchina che ha costruito negli anni, e che, sebbene sminuita
di peso, schiera un’ampia articolazione di ruoli e intelligenze, come
Ghedini e Letta, giornali e televisioni, relazioni istituzionali e
fedeltà consolidate. Fili sono stati tirati da questa macchina, progetti
sono stati abbozzati. Discreti approcci, telefonate, amicizie
riascoltate, una tela è stata sistemata, a Roma, per provare a rimettere
l’esuberanza salviniana in un progetto logico. Un richiamo al realismo
di un accordo: alla Lega l’incarico di governo, a Forza Italia la
presidenza del Senato. Carica, quest’ultima da non sottovalutare,
essendo la seconda dopo il Presidente, e la guida della più incerta
delle ali del Parlamento, dove le maggioranze sono più ristrette e
dunque più decisive.
Come mai questo ovvio accordo fra alleati non
fosse stato definito finora, è una domanda superflua. La matematica
anche in politica è una scienza esatta: un Salvini in uscita dalla
coalizione con Forza Italia, per fare un governo con i Cinquestelle
sarebbe stato il leader di una forza politica del 18 per cento che si
univa a una forza politica con il 33 per cento. Un progetto suicida per
se stesso e per tutta la destra.
L’accordo con i Cinquestelle era
dunque, dopotutto, solo un po’ di scena, da parte di Salvini, per
spingere la coalizione ad assicurargli l’incarico di fare il governo.
E
per rendere nullo ogni accordo fin qui fatto tra Lega e Pentastellati
non è stato nemmeno necessario fare una telefonata o mandare una nota:
per Di Maio una cosa è giocare con Salvini, altro è allearsi con
Berlusconi. L’intesa che doveva sconvolgere l’Italia si è rivelata alla
fine solo un classico «teatrino» politico.
Potremmo persino
felicitarci per questa lezione di realismo che scuote tutti ancora prima
dell’insediamento del nuovo Parlamento. Se non fosse che ora sul tavolo
non rimane uno straccio di idea su future maggioranze. Il Pd ex partito
di governo oggi disorientato, diviso, è senza una strategia. Certo non
gli sarà facile accodarsi a un centrodestra unito; d’altra parte non è
nemmeno pronto a costruire un rapporto con l’acerrimo nemico M5S. In
ogni caso, la lacerazione interna, dopo la sconfitta, lo tira su aree
politiche opposte.
Gli M5S che finora pensavano di poter giocare
usando i due forni, la Lega e il Pd, magari mettendoli su piani di
competizione, oggi si ritrovano a dover cambiare del tutto schema.
Se
il voto per le presidenze di Camera e Senato che inizia stamattina
vedrà un centrodestra compatto sul nome di Romani, come è stato detto
ieri sera dopo il vertice dei capigruppo, la destra sarà l’unica area
con una strategia chiara.
Se c’è un incrocio dove nei prossimi
giorni ogni accordo sarà fatto o disfatto, questo è l’incrocio fra
piazza Venezia e via del Plebiscito, dove si erge Palazzo Grazioli, da
anni casa del Cavaliere.