venerdì 23 marzo 2018

Repubblica 23.3.18
Maurizio Maggiani, scrittore
Dov’è finita la Sinistra 2
“Togliatti ascoltava anche Celentano ora la sinistra non sente più nessuno”
intervista di Concita De Gregorio


Narratore e giornalista
Lo scrittore Maurizio Maggiani, 68 anni. Il suo ultimo romanzo è La zecca e la rosa pubblicato nel 2016 per Feltrinelli

Maurizio Maggiani vive tra Genova e Faenza dove a 67 anni, dice con fiero piccolo sorriso, si è trasferito per amore. È nato povero, è stato anarchico, ha venduto pompe idrauliche, ha scritto romanzi premiati coi premi maggiori, ha ascoltato storie e raccontato utopie. Nel Romanzo della Nazione ha descritto che Paese avrebbe potuto essere l’Italia se solo, se magari, se invece. «Mio nonno era anarchico. Poco prima di morire, io avevo 16 anni ed era il ’68, mi ha detto: “Ricordati che siamo tutti uguali. Ma non perché siamo servi come dicono quelli là. Siamo uguali perché siamo tutti dei signori”. Ecco, io ci penso spesso a questa frase. Mi ha insegnato la cosa più importante».
Quale?
«Cosa dobbiamo pretendere, e da cosa si riconosce la sinistra».
Da cosa si riconosce?
«È un fatto di una semplicità e di una chiarezza assolute. Pane, giustizia e libertà. Questo è lo scopo della sinistra. Il pane interessa al popolo, la libertà alle élite, la giustizia alle élite e al popolo assieme. Forse non ce ne siamo accorti, ma siamo stati governati dalla sinistra per lunghi periodi in questi anni. C’è stato più pane, più giustizia, più libertà? No. Ed è stato forse perché il pane era già stato distribuito la giustizia data e la libertà ottenuta? Se così fosse allora non ci sarebbe più bisogno di sinistra. Come di una sostanza chimica quando ha compiuto la funzione di catalisi, non servirebbe più. Ma no.
Rispetto a giustizia e libertà questa sinistra mi ha solo detto che le mie richieste erano fuori luogo.
Quanto al pane, cioè al lavoro: dimmi tu».
Qualche diritto è stato riconosciuto. Le unioni civili, dopo tanta attesa.
«Sì, me lo ha ricordato per sms alla vigilia del voto anche qualche propagandista che non so come sia in possesso del mio numero. Ne parlavo giorni fa con una commessa del supermercato, lesbica e precaria. Le ho chiesto se le preme di più avere un lavoro stabile o sposarsi. Mi ha risposto naturalmente: il lavoro. Nel pane c’è giustizia, e forse c’è anche libertà».
Cosa è mancato nell’azione dei governi di sinistra?
«L’ascolto. Il pensiero. La parola.
Pensavo oggi alla Chiesa. Cosa ci può essere di più drammatico per la Chiesa di un papa che rinuncia, si dimette? Sembrava il crollo, ti ricordi? I corvi, la lobby gay, i soldi. Sembrava la fine. È bastato che il nuovo papa si affacciasse alla finestra e dicesse: buonasera. Le capacità vitali della Chiesa sono straordinarie. Ma non in difesa, nella forza espansiva. Nell’impeto rivoluzionario incarnato – attenta da un gesuita: un dottrinario, un esponente dell’élite studiosa colta, attenta e attinente. Se la sinistra non funziona è perché non ha saputo costituirsi al suo interno una élite di pensiero. Di strategia, di dottrina. Ha solo gestito il suo potere. Ha preso il potere non il governo dei processi».
Stai parlando di Renzi?
«Matteo Renzi ha rubato la sinistra. Ma prima di lui Bersani.
Ha chiamato il suo partito, in pubblico, “la ditta”. Con un umorismo distratto da benzinaio, rispetto i benzinai, ne ha decretato la fine. Io non ho nessuna intenzione di affidarmi a una ditta. L’unica di cui mi fido è quella del mio aspirapolvere che continua a funzionare. E D’Alema. Tutti dicono: intelligentissimo. Ma ti pare possibile che si copra di ridicolo senza rendersi conto di quanto è sceso nel ridicolo? Le parole sono il mio lavoro. A Renzi non ho mai creduto per una questione di parole. Rottamazione, ha detto: gli uomini non sono elettrodomestici. Però capisco anche: in quella situazione, in quella pentola chiusa e tenuta sul gas il fatto che ci fosse chi diceva “apriamo la valvola”. È comprensibile che in tanti ci abbiano creduto. Ma solo perché era giovane».
L’età non è una virtù. Non è una qualità politica.
«Eppure non ha avuto altra dote se non la sua gioventù. Che cosa ha detto se non quello? Guardate come sono fresco, come sono belli freschi e giovani i miei. E qui torniamo al fascismo. Che carta ha giocato il fascismo a livello di massa? La giovinezza. Io credo con Gobetti che il fascismo non sia stato una parentesi, ma che sia nella psicologia di questo paese una presenza eterna. Come Edipo, come Elettra in ciascuno di noi. Poi la giovinezza si sa che dura un giorno».
È tornata la destra a Genova.
In tutta la Liguria.
«Ti racconto una storia. Il nuovo sindaco di Genova, la giunta, hanno avviato una procedura che punisce fino all’espulsione chi è sorpreso ad essere ubriaco, a rovistare nei cassonetti. Solo nel centro storico, in periferia naturalmente puoi fare quello che vuoi. Fino a qualche anno fa la città di Genova sarebbe insorta coralmente. Non è indecoroso frugare nei cassonetti. È indecoroso avere la necessità di farlo. Oggi l’unica voce che si è alzata è stata quella di un paio di preti. La sinistra che ha avuto potere per 30 anni è terrorizzata dall’idea di sbagliare la risposta. Di passare dal 18 al 15 per cento. Non ha saputo costruire una comunità».
Cosa pensi del successo del Movimento 5 Stelle?
«È un’azienda che conosce bene la gestione del potere nella contemporaneità. Non mi dire che esagero, ma mi pare un filo più pericoloso del nazionalsocialismo».
Esageri.
«Lo spero. Quello pure era andato al governo con un voto di massa, ma lì c’erano uomini, personalità.
Qui ci sono ombre, fantasmi. Di Maio è un’ombra. Ti sembra casuale che siano così improvvidi, inconsapevoli? Non è affatto un caso... devono essere così. Le loro regole non parlano di rappresentanti ma di portavoce.
Devono portare un’altra voce. Che non mi pare quella del popolo. Il giovane Casaleggio parla della realizzazione della democrazia attraverso la piattaforma digitale.
Lo dice nei giorni in cui è apparso palese a tutto il mondo come Facebook sia una sentina di perversione. Non ti sembra sinistro?
La democrazia non è una piattaforma in cui tutti dicono quello che vogliono».
Che cosa è, la democrazia?
«È fatica. È passare da sudditi a cittadini, attraverso la cultura.
Un peso sublime, ma un peso. Se chi governa non sostiene questa fatica quotidianamente – il lavoro della cultura - è facile che il cittadino ripieghi nella sua antica plebità. Non ti pare sospetto tutto questo denigrare la cultura? Il sapere, lo scherno dell’intelletto e di chi ne fa uso: come se sapessero che proprio quella è la chiave, il nemico da abbattere. Da quanto sentiamo parare di governabilità? Ma la governabilità passa attraverso la depressione della sovranità: la devi ridurre al minimo, la sovranità dei cittadini, per governare. Oggi è preferibile l’efficienza alla competenza.
Quindi servono servi, plebe.
Montanelli parlava di plebe borghese».
Molti tra gli elettori dei Cinquestelle e parecchi anche tra gli amministratori vengono da una sinistra da cui si sono sentiti traditi.
«Ma certo. La responsabilità è di chi ha lasciato che questo accadesse. Di chi a sinistra non ha voluto ascoltare, vedere. Di chi nei giornali ha tenuto il sacco a chi governava e non ha raccontato.
Questo è solo l’esito: una cosa quando succede è già successa, è la fine di un processo. Poi molti nei Cinquestelle vengono anche da una cultura di destra. Così come nella Lega, ma la Lega mi spaventa di meno».
Cosa si salva, nel tuo orizzonte?
«I luoghi in cui resiste un sistema di comunità. Di relazioni prepolitiche, non di partiti. Di cooperative, che non sono tutte bande di delinquenti. Le persone.
A Faenza i ragazzi richiedenti asilo puliscono le strade in campagna, i fossati. Sai chi li dirige? Il capo spazzino che è anche capo della Lega. Gli dice delle cose terribili ma poi gli insegna come fare le cose. Ci vive insieme tutti i giorni.
Faenza è uno dei non pochi luoghi dove la comunità fuori dai partiti regge. Non serve nemmeno un sindaco genio».
E di cosa si nutre, la comunità prepolitica? Cosa deve fare la sinistra politica per ritrovare quella comunità?
«Stare in ascolto. Cosa se non l’ascolto è lo stile sorgivo della sinistra? Anche Togliatti sentiva Celentano perché voleva capire.
Era in ascolto. Cosa deve fare oggi la sinistra politica non lo so. Ti dico quello che faccio io. Vado nelle scuole, dai ragazzi. Hanno bisogni di adulti, di maestri. Un bisogno disperato di parola.
Rispondo alle domande. Dico loro quello che so con onestà, disciplina, molta disciplina, e con l’umiltà di cui sono capace. Mio nonno almeno una persona l’ha educata. Se ci riuscissi anch’io, con uno solo di loro, una cosa l’avrei fatta».