Il Fatto 23.3.18
L’Europa si rassegni: ai russi Putin piace
di Gian Paolo Caselli
Come
da facile previsione Vladimir Putin ha vinto di gran lunga le elezioni
russe del 18 marzo, giorno in cui quattro anni fa la Crimea è ritornata
russa. Al di là della grande vittoria del presidente Putin e l’avanzata
oltre le previsioni del partito comunista del nuovo segretario Pavel
Grudinin, è necessario chiedersi quali saranno le conseguenze per la
Russia e le relazioni internazionali di una così notevole espressione di
gradimento per la classe dirigente guidata da Putin.
Queste
elezioni testimoniano, al di là di tutte le critiche all’amministrazione
Putin, un vasto appoggio popolare che riconosce notevoli meriti al
rieletto presidente. Il primo merito è quello di aver migliorato il
tenore di vita dei cittadini russi ponendo fine a quello stato di
povertà e di sofferenza rappresentato dagli anni eltsiniani. I russi
usano per quel periodo l’espressione “smutnoe vremia”, tempo dei
torbidi, espressione che indica il periodo tra la fine del cinquecento e
i primi anni del seicento, quando i polacchi bruciarono Mosca e la
Russia non riusciva a trovare un nuovo Zar. Il ricordo dei terribili
anni Novanta del secolo scorso è diventato uno dei pilastri del sentire
politico del popolo russo che chiede stabilità e un migliore tenore di
vita. In Europa il momento eltsiniano al contrario viene considerato il
periodo in cui il liberalismo politico ed economico era finalmente
introdotto nella vita russa, non tenendo conto che per i russi invece ha
significato decivilizzazione, bombardamento del parlamento ed
arricchimento di pochi.
L’altro fondamento dell’appoggio popolare a
Putin è il sentimento di orgoglio che la politica economica interna ed
estera dell’attuale amministrazione ha ridato al popolo russo. Uno degli
errori dell’ex presidente Usa Barack Obama è stato definire la Russia
una potenza regionale, grande offesa a tutta la classe dirigente russa.
La Federazione Russa condivide con gli Stati Uniti la quasi totalità
degli armamenti nucleari, anche se da un punto di vista economico la
Russia è certamente molto fragile.
Le elezioni hanno anche
confermato che soluzioni di tipo ucraino, come le rivoluzioni di piazza
Maidan del 2014 o quella “arancione” del 2004, non hanno probabilità di
riuscire in Russia. Le fantasie anglosassoni su possibili moti popolari
contro il putinismo, moti più forti delle manifestazioni del 2011 e 2012
contro i brogli elettorali , non si concretizzeranno.
Viene anche
sottovalutata l’importanza del patriottismo nella scala di valori dei
cittadini russi: la classe dirigente accentua l’uso politico della
storia russa, ma i 28 milioni di cittadini sovietici morti nella seconda
guerra mondiale non sono facili da dimenticare e il reggimento degli
immortali che sfila nelle città russe nel giorno della vittoria
testimonia un sentimento reale e profondo.
Putin governerà per
altri sei anni ed avrà di fronte molti problemi. Il punto più debole
della politica putiniana è il basso tasso di crescita reale e potenziale
dell’economia che si aggira intorno al 1,5 -2 %. Se la Russia vuole
migliorare il tenore di vita dei suoi cittadini e conservarne il
consenso deve crescere almeno al 4% e giocare un ruolo internazionale
che non dipenda solo dalle proprie testate nucleari. Questo significa
aumentare la quota degli investimenti sul reddito con una crescita
dell’intervento dello stato. Il grande capitalismo russo degli oligarchi
non è in grado di garantire questo salto nella accumulazione. Ne è
pensabile che gli investimenti stranieri possano essere rilevanti, viste
le tensioni politiche. L’economia resta poi dipendente dal prezzo del
petrolio e deve diversificare. Ma ’unico nuovo settore esportatore,
accanto a energia e armi, è il settore agricolo.
Le elezioni
mettono l’Europa di fronte al fatto che in Russia non vi sono
all’orizzonte forze politiche di opposizione su cui puntare per un
cambiamento che porti a una europeizzazione della Russia. Ne è pensabile
che l’Unione europea icontinui a seguire la linea antirussa dettata dal
blocco di Gran Bretagna, Svezia, Polonia e paesi baltici, a meno di non
voler rischiare un conflitto con la Confederazione Russa. Un
miglioramento della attuale situazione non può prescindere da un
tentativo di soluzione della questione ucraina, che ponga fine alla
guerra a bassa e media intensità che si svolge nel Donbass, accettando
il fatto che l’Ucraina, dalla sua fondazione nel 1991, si è rivelato un
paese che difficilmente riesce ad autogovernarsi. L’Ue deve fare
pressione su Kiev per giungere a una cessazione dello scontro armato,
sottolineando la difficoltà, se non l’impossibilità in queste
condizioni, di un ingresso di Kiev nell’Unione e nella Nato.
I
cittadini russi decideranno se vorranno avanzare lungo la via di una
ulteriore democratizzazione: per ora la grande maggioranza approva la
attuale configurazione economica e politica.