Repubblica 23.8.18
L’analisi
La sinistra sparita dai quartieri popolari
Crollo nelle periferie e nei piccoli centri
Grandi città e alta borghesia così il Pd ha cambiato classe
di Lavinia Rivara
ROMA
Trovare la sinistra non è poi così difficile, la sua casa è ormai in
zone molto illuminate, nei quartieri borghesi dei grandi centri urbani,
dove la sera si può uscire e vive la classe dirigente. Più difficile
scovarla nell’hinterland delle città, nei sobborghi semiperiferici
abitati da lavoratori dipendenti, operai, artigiani, laddove un tempo
aveva il suo zoccolo duro. Sparita del tutto al sud, nelle borgate e
nella provincia dove la disoccupazione morde giovani e famiglie, la
convivenza con gli immigrati è difficile e la sera non si gira
tranquilli. È la fotografia della sinistra scattata col voto del 4
marzo, dove i migliori risultati del Pd sono tutti nei centri storici di
Milano e Torino, nei quartieri bene di Genova, Bologna, Roma, Napoli e
Bari.
I dem soffrono soprattutto in periferia: scendono sotto il
17 per cento, sopra i 100 mila abitanti risalgono attorno al 20 per
cento, sfiorano il 30% in coalizione quando si superano i 300 mila
abitanti, come rileva una analisi di Andrea Maccagni per Youtrend.
Ma
la geografia del voto è anche quella del disagio sociale e delle
disuguaglianze. Se è vero che il Partito democratico ha perso oltre 2
milioni e mezzo di voti rispetto al 2013 e quasi cinque rispetto agli 11
milioni delle Europee 2014, il calo non può che riguardare un po’ tutte
le fasce sociali, ma colpisce «come il consenso si sia ridimensionato
soprattutto tra i dipendenti pubblici, storica componente del blocco
sociale di centrosinistra… un cambiamento di portata comparabile al
dissolversi delle zone Rosse», scrivono Matteo Cavallaro, Giovanni
Diamanti e Lorenzo Pregliasco nell’instant book Una nuova Italia
(Castelvecchi). Nel settore privato però non va affatto meglio. «Il
picco più basso del Pd in questa fascia di lavoratori, 16%, è il più
basso tra le categorie produttive e, specularmente, il più alto per i
5Stelle, dove tocca il 37%» dice Pregliasco.
Ecco la mappa del voto.
Nei due comuni più ricchi della Lombardia, Basiglio e Cusago,
nel
milanese, con un reddito medio annuo rispettivamente di 43 mila e 36
mila euro, il Pd prende poco più del 21%. Ma nei due più poveri, nel
comasco, la musica cambia: a Val Rezzo dove il reddito si ferma a 6 mila
euro la percentuale dei dem è addirittura l’un per cento, a Carvagna
(5.470 euro) siamo all’8,8%. A Milano nel primo municipio (centro
storico), con un tasso di laureati che si aggira attorno al 30% contro
l’11% della media, i dem superano il 30%, in coalizione addirittura
arrivano al 49, grazie all’ottima performance di +Europa. Ma
nell’estrema periferia di Quarto Oggiaro il Pd precipita al 19,6%.
A
Torino il quadro è simile. Nel collegio uninominale 01 della Camera del
centro e della Collina il centrosinistra sfonda quota 40%, i dem sono
al 28,5 e Leu al 6,5.
Anche a Mirafiori tengono bene attestandosi
al 27 per cento. Ma nei quartieri periferici, alle prese coni
immigrazione e crisi industriali, compreso quello più problematico di
Barriera di Milano, il Pd scende al 22,2. Così in provincia: a Pino
Torinese, 37 mila euro di reddito, i dem sono al 28%; a Ribordone (13
mila euro)si scende fino al 12%.
Nel quartiere borghese di
Castelletto, a Genova il centrosinistra è al 38,4%, il Pd al 24%.
Percentuali solo leggermente inferiori nelle altre zone “bene” come
Carignano e Abaro. Ma a Borzoli, quartiere dove coesitono problemi socio
economici e ambientali il Democratici piombano dal 35% del 2013 al 21%,
mentre i 5Stelle toccano il 49%.
Qui però va bene Leu, con il 7,4.
Ma
non c’è solo il malessere sociale, dice Fabio Bordignon, politologo
dell’università di Urbino: «I tassi di disoccupazione non sono l’unica
spiegazione del trionfo 5Stelle, specie al sud.
Conta anche l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia.
Dalla
fine dell’ultimo governo Berlusconi il Pd è il partito che ha incarnato
il sistema. Le classi sociali in maggiore sofferenza non lo votano più
perché rappresenta il potere, il governo, il sistema appunto, contro cui
prevale una spinta radicale di protesta».
E veniamo a Bologna,
città rossa per eccellenza. Il Pd resta il primo partito pur perdendo un
terzo dei voti rispetto al 2013. Ma anche qui la performance migliore è
nei quartieri alti (Irnerio, Galvani, Malpighi) dove il calo oscilla
tra il 4 a l’8% e dove Leu fa i suoi migliori risultati, tra il 10 e
l’11%. Il crollo fino a 16 punti invece si registra nei quartieri più
popolari (San Donato, Bolognina, Lame).
Tralasciando l’isola
felice di Firenze (43,2%) e l’area metropolitana dove il Pd conquista
ovunque percentuali molto alte (il minimo è il 32% a Campi Bisenzio, il
massimo è il 48% a Fiesole), a Roma, anche se le cifre scendono, il
partito tiene nel collegio Centro-Trionfale e Parioli-Trieste (28%), le
zone più agiate della città. Poi si scende man mano che ci si addentra
nella grande periferia: il 20% nei quartieri piccolo-borghesi di
Labaro-Prima Porta, 17,6% nei più popolari Tiburtino, Prenestino, Torre
Angela.
A Napoli se ci si lascia guidare dal tasso di occupazione,
intorno al 40% nei rioni bene di Chiaia, Vomero, Posillipo i dem
conquistano dai 24 ai 27 punti. Ma a Scampia, lì dove la quota di chi ha
lavoro si dimezza, non si arriva al 9%, a San Pietro a Patierno neanche
al 7. Nei comuni più ricchi della provincia, come Capri (reddito medio
17mila euro) il partito è al 19,3; a Casola dove l’imponibile non supera
i 5 mila euro si precipita al 3,5.
Più si scende al sud più
salgono i 5Stelle e calano i Democratici. A Bari prendono il 16% e il
miglior risultato è nel seggio di Poggiofranco, una delle zone più
facoltose: 200 voti al candidato Pd 190 ai 5Stelle 11 a Leu, 194 a FI.
Nei quartieri più difficili e marginali quasi non esiste.
Nella
terra del trionfo a 5Stelle, la Sicilia, i dem toccano il 15% a Palermo
solo nel quartiere agiato e centralissimo della Libertà, nel famigerato
Zen si crolla al 4,3%.
Nella aree di crisi, come Gela, è al 9,5% a
Vittoria al 7,2. Un dato in controtendenza è quello di Campofelice di
Fitalia, dove il reddito medio non arriva a 11 mila euro eppure il Pd è
al 21,5. Ma si tratta di uno dei centri più isolati della Sicilia, 500
anime, strade impraticabili per arrivarci, un paese che muore. Vorrà
dire qualcosa?