venerdì 23 marzo 2018

Repubblica 23.8.18
L’analisi
La sinistra sparita dai quartieri popolari
Crollo nelle periferie e nei piccoli centri
Grandi città e alta borghesia così il Pd ha cambiato classe
di Lavinia Rivara


ROMA Trovare la sinistra non è poi così difficile, la sua casa è ormai in zone molto illuminate, nei quartieri borghesi dei grandi centri urbani, dove la sera si può uscire e vive la classe dirigente. Più difficile scovarla nell’hinterland delle città, nei sobborghi semiperiferici abitati da lavoratori dipendenti, operai, artigiani, laddove un tempo aveva il suo zoccolo duro. Sparita del tutto al sud, nelle borgate e nella provincia dove la disoccupazione morde giovani e famiglie, la convivenza con gli immigrati è difficile e la sera non si gira tranquilli. È la fotografia della sinistra scattata col voto del 4 marzo, dove i migliori risultati del Pd sono tutti nei centri storici di Milano e Torino, nei quartieri bene di Genova, Bologna, Roma, Napoli e Bari.
I dem soffrono soprattutto in periferia: scendono sotto il 17 per cento, sopra i 100 mila abitanti risalgono attorno al 20 per cento, sfiorano il 30% in coalizione quando si superano i 300 mila abitanti, come rileva una analisi di Andrea Maccagni per Youtrend.
Ma la geografia del voto è anche quella del disagio sociale e delle disuguaglianze. Se è vero che il Partito democratico ha perso oltre 2 milioni e mezzo di voti rispetto al 2013 e quasi cinque rispetto agli 11 milioni delle Europee 2014, il calo non può che riguardare un po’ tutte le fasce sociali, ma colpisce «come il consenso si sia ridimensionato soprattutto tra i dipendenti pubblici, storica componente del blocco sociale di centrosinistra… un cambiamento di portata comparabile al dissolversi delle zone Rosse», scrivono Matteo Cavallaro, Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco nell’instant book Una nuova Italia (Castelvecchi). Nel settore privato però non va affatto meglio. «Il picco più basso del Pd in questa fascia di lavoratori, 16%, è il più basso tra le categorie produttive e, specularmente, il più alto per i 5Stelle, dove tocca il 37%» dice Pregliasco.
Ecco la mappa del voto.
Nei due comuni più ricchi della Lombardia, Basiglio e Cusago,
nel milanese, con un reddito medio annuo rispettivamente di 43 mila e 36 mila euro, il Pd prende poco più del 21%. Ma nei due più poveri, nel comasco, la musica cambia: a Val Rezzo dove il reddito si ferma a 6 mila euro la percentuale dei dem è addirittura l’un per cento, a Carvagna (5.470 euro) siamo all’8,8%. A Milano nel primo municipio (centro storico), con un tasso di laureati che si aggira attorno al 30% contro l’11% della media, i dem superano il 30%, in coalizione addirittura arrivano al 49, grazie all’ottima performance di +Europa. Ma nell’estrema periferia di Quarto Oggiaro il Pd precipita al 19,6%.
A Torino il quadro è simile. Nel collegio uninominale 01 della Camera del centro e della Collina il centrosinistra sfonda quota 40%, i dem sono al 28,5 e Leu al 6,5.
Anche a Mirafiori tengono bene attestandosi al 27 per cento. Ma nei quartieri periferici, alle prese coni immigrazione e crisi industriali, compreso quello più problematico di Barriera di Milano, il Pd scende al 22,2. Così in provincia: a Pino Torinese, 37 mila euro di reddito, i dem sono al 28%; a Ribordone (13 mila euro)si scende fino al 12%.
Nel quartiere borghese di Castelletto, a Genova il centrosinistra è al 38,4%, il Pd al 24%. Percentuali solo leggermente inferiori nelle altre zone “bene” come Carignano e Abaro. Ma a Borzoli, quartiere dove coesitono problemi socio economici e ambientali il Democratici piombano dal 35% del 2013 al 21%, mentre i 5Stelle toccano il 49%.
Qui però va bene Leu, con il 7,4.
Ma non c’è solo il malessere sociale, dice Fabio Bordignon, politologo dell’università di Urbino: «I tassi di disoccupazione non sono l’unica spiegazione del trionfo 5Stelle, specie al sud.
Conta anche l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia.
Dalla fine dell’ultimo governo Berlusconi il Pd è il partito che ha incarnato il sistema. Le classi sociali in maggiore sofferenza non lo votano più perché rappresenta il potere, il governo, il sistema appunto, contro cui prevale una spinta radicale di protesta».
E veniamo a Bologna, città rossa per eccellenza. Il Pd resta il primo partito pur perdendo un terzo dei voti rispetto al 2013. Ma anche qui la performance migliore è nei quartieri alti (Irnerio, Galvani, Malpighi) dove il calo oscilla tra il 4 a l’8% e dove Leu fa i suoi migliori risultati, tra il 10 e l’11%. Il crollo fino a 16 punti invece si registra nei quartieri più popolari (San Donato, Bolognina, Lame).
Tralasciando l’isola felice di Firenze (43,2%) e l’area metropolitana dove il Pd conquista ovunque percentuali molto alte (il minimo è il 32% a Campi Bisenzio, il massimo è il 48% a Fiesole), a Roma, anche se le cifre scendono, il partito tiene nel collegio Centro-Trionfale e Parioli-Trieste (28%), le zone più agiate della città. Poi si scende man mano che ci si addentra nella grande periferia: il 20% nei quartieri piccolo-borghesi di Labaro-Prima Porta, 17,6% nei più popolari Tiburtino, Prenestino, Torre Angela.
A Napoli se ci si lascia guidare dal tasso di occupazione, intorno al 40% nei rioni bene di Chiaia, Vomero, Posillipo i dem conquistano dai 24 ai 27 punti. Ma a Scampia, lì dove la quota di chi ha lavoro si dimezza, non si arriva al 9%, a San Pietro a Patierno neanche al 7. Nei comuni più ricchi della provincia, come Capri (reddito medio 17mila euro) il partito è al 19,3; a Casola dove l’imponibile non supera i 5 mila euro si precipita al 3,5.
Più si scende al sud più salgono i 5Stelle e calano i Democratici. A Bari prendono il 16% e il miglior risultato è nel seggio di Poggiofranco, una delle zone più facoltose: 200 voti al candidato Pd 190 ai 5Stelle 11 a Leu, 194 a FI. Nei quartieri più difficili e marginali quasi non esiste.
Nella terra del trionfo a 5Stelle, la Sicilia, i dem toccano il 15% a Palermo solo nel quartiere agiato e centralissimo della Libertà, nel famigerato Zen si crolla al 4,3%.
Nella aree di crisi, come Gela, è al 9,5% a Vittoria al 7,2. Un dato in controtendenza è quello di Campofelice di Fitalia, dove il reddito medio non arriva a 11 mila euro eppure il Pd è al 21,5. Ma si tratta di uno dei centri più isolati della Sicilia, 500 anime, strade impraticabili per arrivarci, un paese che muore. Vorrà dire qualcosa?