Repubblica 23.3.18
Come recuperare l’elettorato
Il senso del sud per la sinistra
di Nadia Urbinati
Caduto
il regime fascista, Vittorio Foa lasciando il carcere donava al suo
compagno di cella la Scienza nuova di Vico, con una dedica tratta dal
testo: « Per varie e diverse vie, che sembravano traversie ed eran in
fatti opportunità». L’eterogenesi dei fini è una regola della scienza
sociale moderna, un invito a far leva sui limiti della ragione per
cogliere risvolti positivi da ogni evento, anche il più negativo. Con le
dovute proporzioni, la sinistra del dopo 4 marzo dovrebbe saper vedere
nella caduta un’opportunità. Altre volte in passato, la riflessione su
“che cosa è andato storto” è stata fondamentale. È evidente che saper
leggere implica avere dei criteri di giudizio come antenne; solo così la
sconfitta si può fare opportunità.
La questione della
rappresentanza sociale — dello schierarsi con chi — è una di queste
antenne: la sinistra ha la missione di partire dalla condizione di chi
sta peggio per poter correggere in positivo i rapporti sociali. In
Italia, questa condizione è propria di alcune fasce (giovani e vecchi) e
aree geografiche (il Sud). Ma non basta censire la mancanza cronica di
lavoro e una vita di espedienti ( non sempre legittimi) come fanno gli
scienziati sociali. Occorre sentire quei problemi e le loro
implicazioni, poiché la politica è vicina alle emozioni che guidano le
azioni. E un partito deve saper progettare le azioni, non solo dei pochi
che lo dirigono, ma soprattutto dei molti che lo seguono o lo votano.
Pensiamo
alla “ questione meridionale” che molta parte della dirigenza della
sinistra sembra aver lasciato cadere, consolandosi col dire “basta ai
piagnistei”, ci si “ rimbocchi le maniche”, “ l’Italia è ripartita”.
Pochi anni fa, Roberto Saviano obiettò su questo giornale che quello del
Sud «è un urlo di dolore, non un piagnisteo che sembra invece
somigliare di più alla cantilena del va tutto bene » . Il Sud come “
palla al piede” che deturpa l’immagine di un’Italia che riparte: in anni
recenti, questo è stato il sentire della sinistra. E l’abbandono del
Sud è stato reciproco, un divorzio. La quasi scomparsa della sinistra
era una sconfitta annunciata. Che lo si sia visto dopo, questo è il
problema.
Alle origini del fascismo, Antonio Gramsci scriveva che
la classe politica era fatta di “dilettanti” che si preoccupavano di
eliminare dalla vista ciò che ostacolava il cammino, preferendo magari
usare il piglio autoritario: « Non hanno alcuna simpatia per gli uomini [
che soffrono]... Obbligano a soffrire inutilmente nel tempo stesso che
sciolgono degli inni alati alla virtù, alla forza di sacrificio e di
volontà del cittadino italiano » . E intanto, le forme di illegalità, le
periodiche rivolte fanno del Sud un’incognita. Una storia eterna.
La
“questione meridionale” non è così misteriosa e neppure una “ palla al
piede”: mostra come con una lente di ingrandimento la disgregazione
sociale, lo sfarinamento delle forze associative, che sole possono
attivare protagonismo, e opporre una politica di programmi a una di
promesse assistenziali. La condizione del disagio deve poter stimolare
il sentire per meglio orientare il comprendere.
Ritornare a
riflettere sulle politiche sociali, per abbandonare i piccoli
stratagemmi elettorali della monetarizzazione del bisogno, per
riprendere la via del rilancio di politiche per l’occupazione. E
collegarsi con le altre forze della sinistra europea per riportare al
centro la condizione di chi è penalizzato dalla globalizzazione. E
intanto, aprire le sezioni e ogni luogo di incontro per dare voce a chi è
restato ai margini, e rimettere in funzione i radar; tornare a leggere
un Paese del quale si sono perse le tracce. Non può essere il premio
David di Donatello a farci capire che il Sud c’è e non è una “palla al
piede”.