venerdì 23 marzo 2018

Repubblica 23.3.18
Intervista a Guido Tonelli
“Ci insegna che è possibile spiegare l’universo con una sola formula”
di Luca Fraioli


ROMA «Nel 1988 lavoravo al Fermilab di Chicago, ma il successo di Dal big bang ai buchi neri contagiò anche gli Stati Uniti. E un po’ sorprese noi fisici delle particelle». Guido Tonelli, coautore della scoperta del bosone di Higgs al Cern di Ginevra nel 2012, oggi insegna fisica all’Università di Pisa e scrive libri di divulgazione: La nascita imperfetta delle cose
(2016) e Cercare mondi (2017), entrambi per Rizzoli.
Professor Tonelli, Hawking era già allora una celebrità tra i fisici?
«Era molto conosciuto come cosmologo. Le sue teorie erano prese sul serio e con molto rispetto ma, in mancanza di prove sperimentali, non venivano considerare così eclatanti. Paradossalmente, l’importanza del suo contributo alla scienza è diventata palese nei venti anni successivi».
Come si può riassumere?
«Hawking, come solo le grandi menti sanno fare, si è concentrato su un dettaglio che era sotto gli occhi di tutti e lo ha dilatato mostrandone la forza rivoluzionaria. Tutti sapevano che secondo le equazioni di Einstein ci possono essere singolarità dello spazio-tempo, i cosiddetti buchi neri. Ma la maggior parte della comunità scientifica li considerava delle curiosità matematiche. Hawking invece ne ha studiato le proprietà come fossero oggetti fisici.
Arrivando a ipotizzare che, anziché inghiottire tutta l’energia e la materia che gli capita a tiro, ne possono anche emettere. E a forza di emettere radiazioni possono persino evaporare. I buchi neri così diventano fondamentali nella dinamica dell’Universo. E oggi, anche se non c’è ancora evidenza sperimentale, il consenso della comunità scientifica è quasi unanime».
Torniamo all’Hawking divulgatore. Secondo il collega e amico Roger Penrose, il successo del libro fu dovuto anche a un linguaggio particolarmente semplice, dettato dalle sue condizioni fisiche.
«Condivido l’analisi di Penrose.
Ho incontrato due volte Hawking a Ginevra e mi colpì la sua prosa semplificata e condensata perché frutto di un grande sforzo, anche fisico. Stephen ha avuto la capacità di trasformare un suo vincolo in un vantaggio».
In “Dal big bang ai buchi neri” Hawking scrive: “Qualcuno mi disse che ogni equazione avessi incluso nel libro avrebbe dimezzato le vendite. Alla fine, però, ho fatto una eccezione per E=mc²”. Lei, da scrittore di scienza, cosa ne pensa?
«Che evitare le formule sia giusto. E non solo per una mera questione di copie: noi abbiamo il dovere di comunicare ciò che abbiamo capito dell’Universo al pubblico più ampio possibile.
Perché la conoscenza scientifica, presto o tardi, ha un peso sulla vita di tutti. È chiaro che per me sarebbe molto più facile usare le formule e, inoltre, il linguaggio piano spesso non riesce a contenere tutto ciò che c’è in una formula. Ma è un rischio che vale la pena correre».
E se lei, come Hawking, dovesse scegliere una sola formula da mettere in un libro?
«Il principio di indeterminazione di Heisenberg: è difficile da spiegare a parole, ma ci dice che l’Universo può nascere anche dal vuoto».