Repubblica 21.3.18
I femminicidi
L’uomo senza educazione sentimentale
di Chiara Saraceno
Di
fronte al ripetersi quasi quotidiano di femminicidi tutte le parole
sembrano inutili, non solo perché già dette e ripetute, ma perché paiono
non produrre alcun cambiamento. Certo, possiamo continuare a
consigliare alle donne che si trovano in rapporti violenti di andarsene e
denunciare.
Ma, come testimoniano almeno due dei femminicidi più
recenti, andarsene e denunciare non sempre basta. Chi ha deciso di
uccidere per “vendicarsi” dell’affronto dell’abbandono trova sempre il
modo di farlo. Lo trova anche se gli è stato fatto divieto di
avvicinarsi.
Lo trova anche se è stato condannato a una pena
detentiva per le violenze commesse. Non sostengo che le denunce e le
pene non servano. Così come sono convinta che occorra dare più risorse
ai centri anti-violenza, perché offrano consulenza competente e rifugio
temporaneo a chi non sa dove andare o ha bisogno di nascondersi dal
persecutore.
Tuttavia, proprio la trasversalità — per età,
istruzione, ceto, professione, territorio — del fenomeno induce a
pensare che occorre anche intervenire alla radice.
Occorre
contrastare in modo sistematico e capillare, in tutti gli ambiti,
modelli di genere maschile e femminile fondati su sopraffazione,
disprezzo, possesso e negazione della libertà. Ma occorre anche
promuovere una educazione sentimentale che renda capaci di resistere ad
aspettative di tipo fusionale, in cui si è tutto l’uno per l’altra e
viceversa, capaci di considerare normali le prese di distanza, la
ricerca di spazi per sé, e di sopportare il cambiamento, le eventuali
delusioni, la sofferenza della incomprensione e l’abbandono, la fine di
un rapporto. L’amore non è la ricerca della propria metà. E l’obiettivo
di fare, con l’amore, il sacrificio o la violenza, uno da due è non solo
destinato a fallire, ma sbagliato, per sé e per l’altra/o. Per amare
occorre essere capaci di autonomia e di riconoscersi come reciprocamente
altri.
È un equilibrio che si impara lentamente e deve essere
continuamente re-imparato, ma i cui rudimenti devono essere appresi fin
da piccoli, nei rapporti genitori-figli, in quelli amicali e di coppia.
Vale
per gli uomini come per le donne, naturalmente. Ma sono statisticamente
più numerosi gli uomini che la mancanza di una educazione sentimentale
lascia senza controllo sulle proprie emozioni e aggressività, fino
all’omicidio.
Non tutti gli uomini che uccidono le donne con cui
stanno o vorrebbero stare sono uguali nelle motivazioni di questo gesto
estremo. Ma in tutti mi sembra ci sia una incapacità di stare al mondo
senza avere uno specchio in cui riflettersi — come prepotenti che si
realizzano solo nel potere che esercitano sulla donna che ha avuto la
sfortuna di incontrarli o, all’opposto, come così incerti sulla propria
identità da non riuscire a sopportare che questa possa essere messa in
crisi dalla rottura del rapporto cui avevano affidato il compito di
rappresentarla e darle continuità.
Questi ultimi sono quelli che,
spesso, dopo avere ucciso si uccidono, credo non per paura di andare in
prigione e neppure perché non reggono l’enormità di quello che hanno
fatto, ma perché non sono (forse non sono mai stati veramente) capaci di
vivere al di fuori di quella relazione-specchio. Incapaci di amare
veramente. Al punto da non curarsi neppure del destino dei figli che
abbandonano (quando non uccidono) non solo alla perdita di uno o
entrambi i genitori, ma al tragico compito di doverne elaborare e
sopportare il modo.
Chiara Saraceno, sociologa, si occupa di
famiglia, disuguaglianze, povertà e welfare Tra i suoi ultimi libri
“Mamme e papà” (il Mulino, 2016) e “L’equivoco della famiglia” (Laterza,
2017)