Repubblica 20.3.18
Se il cuore diventa un crimine
di Fabrizio Gatti
Questa
volta si è andati oltre l’osceno. Il soccorso di persone in difficoltà,
e il dovere che lo impone, non è soltanto un obbligo di legge: è anche
la condizione essenziale, minima, fondamentale dell’essere umano. Fuori
da questa condizione, rimane la barbarie.
Due fatti avvenuti ai
nostri confini dimostrano che in Europa abbiamo già superato il «saremo
cattivi », promesso nel 2009 dall’allora ministro dell’Interno leghista,
Roberto Maroni. Il primo fatto: una guida alpina è stata denunciata
dall’autorità francese per favoreggiamento dell’immigrazione illegale,
per aver trovato in mezzo alla neve del Monginevro, a oltre 1.800 metri
al confine con l’Italia, e portato a valle due bambini nigeriani di due e
quattro anni, il loro papà e la loro mamma incinta in preda alle
doglie. Il secondo: i ministeri dell’Interno e dei Trasporti italiani,
grazie ai rimpalli di responsabilità diramati attraverso la Guardia
costiera, hanno messo l’organizzazione umanitaria spagnola Proactiva
Open Arms nelle condizioni di essere accusata dalla Procura di Catania
di associazione a delinquere, con l’aggravante di avere messo in
pericolo delle vite. Sia la guida alpina, sia l’equipaggio di una nave
dell’ong di Barcellona avevano appena soccorso persone in difficoltà, in
montagna e in mare aperto. E per questo si trovano ora sotto inchiesta.
L’anno scorso Proactiva aveva firmato il protocollo del ministro
dell’Interno Marco Minniti, ma a nulla è servito.
Le due vicende
non toccano questioni sociali o economiche come il controllo
dell’immigrazione, la pianificazione demografica, la pubblica
assistenza. Riguardano semplicemente l’obbligo di soccorso. E la sua
criminalizzazione, decisa dall’autorità di due Stati membri fondatori
dell’Unione Europea.
Anche se guardiamo il mondo soltanto
attraverso le lenti della legalità, la guida alpina e i marinai dell’ong
hanno rispettato la legge. In Italia l’omissione di soccorso è punita
dall’articolo 593 del Codice penale e, tra gli altri, dagli articoli 69 e
1158 del Codice della navigazione. La Libia, che rimane un inferno
umanitario, non ha invece firmato e nemmeno applica le convenzioni
necessarie per essere dichiarata un porto sicuro. Il fatto che i governi
di Roma e Tripoli abbiano siglato un accordo politico bilaterale non
colma le lacune in merito alle norme di valore internazionale.
La
conseguenza di quanto sta accadendo dalle Alpi alla Sicilia non è
semplicemente la criminalizzazione della solidarietà. È anche
l’intimidazione giudiziaria verso quanti si dovessero trovare nelle
circostanze di dover salvare un bambino straniero tra le montagne o gli
occupanti di un gommone alla deriva.
Per quanto ci riguarda, la
questione arriva da molto lontano. Da una parte ecco la Francia che nel
2011 ha esportato la guerra in Libia e, con le sue conseguenze, ha
indirettamente destabilizzato le economie del Sahara. Dall’altra c’è
l’Italia, che per diciassette anni, da Berlusconi a Gentiloni, non è
stata in grado di mettere in campo una politica estera capace di
prevenire e gestire i fenomeni. Perfino la missione italiana in Niger,
contro i trafficanti che portano migranti in Libia, non partirà nei
tempi previsti: si scopre ora che è stata approvata senza il minimo,
necessario via libera del governo africano (che, guarda caso, risponde
direttamente a Parigi). Una beffa. Se proprio vogliamo fare un processo
al nostro tempo, cominciamo dai nostri fallimenti. E che nessuno tocchi
chi soccorre i bambini.