martedì 20 marzo 2018

il manifesto 20.3.18
Marielle fa paura anche da morta. Militari nelle favelas, sale la tensione
Brasile. A preoccupare i difensori dei diritti umani è proprio l’accelerato processo di militarizzazione delle periferie povere, secondo uno schema repressivo che identifica gli abitanti delle favelas come il nuovo nemico interno da annientare
di Claudia Fanti


Fa paura anche da morta Marielle Franco. In un Paese come il Brasile in cui l’élite golpista conta sull’apatia delle masse per calpestare i diritti della classe lavoratrice, i simboli, si sa, possono essere molto pericolosi. E che la consigliera comunale del Psol sia diventata un simbolo potente lo hanno bene indicato i 3,6 milioni di tweet di denuncia prodotti nelle prime 42 ore dalla sua esecuzione. Non sorprende allora che esponenti di estrema destra stiano tentando di infangarne la memoria, uccidendola una seconda volta.
HA INIZIATO, incredibile ma vero, la giudice Marília Castro Neves del Tribunale di Rio, insinuando su Facebook che Marielle Franco «era legata a dei criminali» ed era venuta meno a «impegni assunti con i suoi sostenitori» del Comando Vermelho, il più antico gruppo criminale del Brasile. Denunciata per calunnia e diffamazione dal Psol, la giudice ha poi dichiarato alla Folha de S. Paulo di aver voluto solo contestare, da semplice cittadina, «la politicizzazione della sua morte». Tanto è bastato perché il gruppo di estrema destra Movimento Brasil Livre pubblicasse il post «Giudice rompe narrazione del Psol e afferma che Mariella era legata a criminali», ottenendo in poche ore 38mila like e 28mila condivisioni.
È ANDATO ANCHE OLTRE il deputato Alberto Fraga, presidente del partito Dem (Democratas) del Distretto Federale, che in un post su Twitter, poi ritirato, commenta: «Ecco il nuovo mito della sinistra: incinta a 16 anni, ex moglie del trafficante di droga Marcinho VP, consumatrice di marijuana, eletta dal Comando Vermelho… ma chi l’ha uccisa è stata la Polizia Militare». E tutto ciò benché Marielle non sia mai stata sposata ad alcun narcotrafficante, abbia avuto una figlia a 19 anni e sia risultata la quinta più votata alle ultime elezioni.
Quanto al coinvolgimento della polizia nell’omicidio, è anche il procuratore José Maria Panoeiro ad affermare, in una dichiarazione alla Bbc Brasil, che tutto spinge a seguire tale pista. Tanto più dopo la conferma che i proiettili usati per uccidere Marielle e il suo autista Anderson Gomes provengono da un lotto venduto dall’azienda Cbc alla polizia federale di Brasilia nel 2006, lo stesso di cui facevano parte le munizioni impiegate nel massacro di 17 persone a Osasco, a São Paulo, nel 2015, per il quale sono stati condannati tre agenti della polizia militare e uno della polizia civile.
PROPRIO PER ESIGERE GIUSTIZIA hanno marciato in più di 5mila, domenica, nel Complexo da Maré, ricordando come «ogni donna nera in questo Stato oggi si chiami Marielle»
L’esecuzione della consigliera, tuttavia, ha alzato di molto il livello di tensione nelle favelas, a cominciare proprio da Acari, dove un gruppo di attivisti del gruppo Fala Akari che aveva denunciato le brutali violenze del 41° battaglione della polizia militare di Rio – quelle contro cui si era scagliata Marielle tre giorni prima di essere assassinata – ha dovuto fuggire per paura di rappresaglie.
E a preoccupare i difensori dei diritti umani è proprio l’accelerato processo di militarizzazione delle periferie povere, secondo uno schema repressivo che identifica gli abitanti delle favelas come il nuovo nemico interno da annientare. Significative, al riguardo, le recenti parole del comandante dell’esercito, il generale Eduardo Villas Boas, riguardo alla necessità che i militari abbiano «garanzie per agire senza il pericolo che una nuova Commissione della verità giudichi il loro operato», in riferimento alla Commissione creata da Dilma Rousseff per indagare sui casi di tortura e omicidio durante la dittatura militare. In poche parole, licenza di uccidere.