martedì 20 marzo 2018

La Stampa 20.3.18
L’ultima scoperta di Hawking: in principio era il multiverso
Poco prima di morire il fisico aveva messo a punto la teoria dell’esistenza di infiniti universi: “Un’astronave attrezzata potrebbe scovare le prove”
di Vittorio Sabadin


L’astrofisico Stephen Hawking, scomparso il 14 marzo a Cambridge, aveva terminato dieci giorni prima di morire il suo lavoro più importante, quello che forse gli avrebbe procurato il Nobel che non ha mai ricevuto. Lavorando alla teoria del multiverso, in base alla quale non esiste solo l’Universo che possiamo vedere ma ce ne sono molti altri, Hawking ha indicato la strada per poterla finalmente dimostrare. Come sempre è avvenuto, anche l’ultima scoperta è stata accolta con scetticismo da una parte dei suoi colleghi e con entusiasmo da altri: secondo alcuni scienziati, potrebbe rappresentare la svolta che la cosmologia attendeva.
Hawking ha lavorato alla teoria insieme con il professor Thomas Hertog della Katholieke Universiteit di Lovanio, nei pressi di Bruxelles e sotto al testo pubblicato sul sito arXiv.org della Cornell University compare la firma di entrambi. Già nel 1983, in una ricerca compiuta con il fisico americano James Hartle, Hawking aveva affermato che il Big Bang era all’origine dell’Universo, ma aveva anche suggerito che potesse avere generato altri infiniti universi, la cui esistenza non poteva però essere testata. Da più di 30 anni gli scienziati discutono questa possibilità, un’ipotesi che ci costringerebbe a cambiare idea sul nostro spazio nel cosmo. Ma il multiverso è stato sempre impossibile da afferrare, era un paradosso matematico: non si potevano infatti misurare cose che si trovano al di fuori del nostro universo.
Carlos Frenk, cosmologo dell’Università di Durham e membro, come fu Hawking, della Royal Society, ha spiegato in poche parole la nuova scoperta: «L’idea intrigante è che il multiverso abbia lasciato un’impronta sulla radiazione di fondo permeando il nostro Universo, e che possiamo dunque misurarla con un detector su una nave spaziale». Lo spazio fra le stelle e le galassie ci appare come vuoto e nero, ma in realtà è permeato da una radiazione di fondo, una radiazione elettromagnetica che non è determinata dai corpi che la circondano e che è considerata la prova del Big Bang. In questa radiazione, dice Hawking, esistono particolarità che confermano l’esistenza di infiniti altri universi, e che potrebbero essere individuate se lanciassimo nello spazio un’astronave dotata di speciali sensori.
Intitolato nello stile di Hawking «A Smooth Exit from Eternal Inflation» (Un’agevole uscita dall’Inflazione eterna), lo studio parte dalle teorie che sostengono che l’espansione dell’Universo continua per sempre (Inflazione eterna) in modo sempre più accelerato e può generare alla fine altri universi. Il cosmo sarebbe dunque pieno di infinite «bolle» che contengono ciascuna un universo. Se fosse dimostrato, i non credenti troverebbero finalmente una spiegazione alla ragione della nostra esistenza: esistiamo semplicemente perché ci sono infinite possibilità che esistiamo.
Nella sua ultima teoria, Hawking afferma anche di sapere come finirà il nostro mondo: l’energia delle stelle si esaurirà, in un lungo periodo di tempo si spegneranno una a una, l’Universo diventerà buio e poi forse tutto ricomincerà. Hawking era un fisico teorico, che si esprimeva con complicatissime formule matematiche, la sua specialità: bisognerà lavorarci su, ci vorrà molto tempo.
Ma intanto, come ha detto il suo compagno di avventura Thomas Hertog, «ha voluto audacemente andare dove neppure Star Trek osava avventurarsi». Un complimento che gli sarebbe piaciuto: non è poco, per un uomo paralizzato da 55 anni su una carrozzina.