Repubblica 20.3.18
Zerocalcare
“I curdi erano degli eroi e adesso li avete già dimenticati”
intervista Anna Lombardi
«Due
anni fa esaltavamo tutti i curdi: ora sono una fazione come le altre e
la Siria, un luogo dove si scannano popoli che ci sono ormai estranei».
Continua a essere in contatto con loro?
«Ad
Afrin ci sono persone che conosco: sì, anche italiani. Hanno resistito a
un’invasione dove la sproporzione di forze era immensa. Per non
scatenare un genocidio hanno scelto di far uscire i civili».
Che cosa la lega così tanto al
popolo curdo?
«Quando
nel 1999 Ocalan arrivò a Roma per chiedere asilo politico avevo 14 anni
e cominciavo a frequentare la galassia dei centri sociali che diede
accoglienza ai tanti curdi che si erano riversati su Roma per
sostenerlo. Fu un’esperienza intensa. Ma la mia generazione ha scoperto
davvero i curdi solo durante l’assedio di Kobane».
Un luogo che lei ha scelto di raccontare con le sue tavole.
«Partecipai a incontri con la comunità curda in Italia.
Raccontarono
il progetto politico avviato a Kobane e mi sembrò subito bello,
avanzato. Ma sono uno scettico. Partecipai a “Una staffetta per Kobane”,
un progetto di attivismo solidale, con l’idea che i curdi avevano un
ceto politico illuminato, che scriveva bei proclami, ma che la vita
reale era diversa. Invece trovai uno scenario interessante».
Che scenario?
«Una
rivoluzione sociale, anche se incompiuta. Soprattutto per il ruolo
delle donne, e non solo le mitiche combattenti. Il loro contributo era
reale. Ad esempio ogni villaggio aveva un sindaco: e una co-sindaca.
Attenzione, non voglio mitizzare: la realtà è sempre piena di
contraddizioni. Ma quello in corso lì è davvero una rivoluzione».
Le donne sono le protagoniste del suo Kobane Calling.
«Hanno conquistato tutto da sole: nel movimento di liberazione curdo come nella società.
Raccontavano
come erano cambiate le loro vite rispetto al modello delle madri
costrette a matrimoni combinati e a obbedire ai mariti. Oggi ad Afrin si
cancella proprio l’esperienza di una società che si evolve, per di più
in una direzione che qui dovrebbe piacerci».
E ora?
«La
campagna turca, che per assurdo si chiama ramoscello d’ulivo, è uno dei
momenti più drammatici della guerra: peggiore di quella all’Isis. Il mio
fumetto mirava a spiegare le cose alla gente di qui. L’indifferenza di
oggi mi fa però dubitare anche della forza del mio lavoro. Servirebbe
una risposta politica».
Da parte di chi?
«Affrontare quel che succede nel mondo è il compito della politica.
Chi
agita lo spauracchio del terrorismo e dei flussi migratori dovrebbe
sapere da cosa fugge questa gente. Lo stesso vale per chi parla di
diritti. Dal Pd alla Lega: aiutarli a casa loro, dicono. Ma cosa
significa, farli bombardare a casa loro dalla Turchia che distugge le
città e genera nuovi profughi? E poi l’Europa gli dà dei soldi per
tenersi coloro che si è cercato di ammazzare?».
Lei è molto attivo sui social: i suoi lettori cosa dicono?
«Chi
ha letto Kobane Calling chiede come può aiutare. Io rispondo che la
cosa fondamentale è informarsi al meglio. Capire cosa succede è già un
atto politico».
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«Afrin cade per
mano della Turchia. Sotto gli occhi di tutti. E nessuno fa niente. Ma
come: i curdi non erano i beniamini dell’Occidente? Alle loro eroiche
combattenti abbiamo dedicato pagine di giornali. Ma oggi Afrin è solo
l’ennesimo episodio di una guerra sempre più lontana. Ci stiamo
assuefacendo all’orrore».
Michele Rech, 34 anni, è l’acclamato
fumettista italiano conosciuto come Zerocalcare che con le sue tavole da
anni prova a raccontare l’ansia della generazione dei non garantiti. E
che nel 2015, dopo un viaggio al confine fra Turchia e Siria, ha narrato
nel suo Kobane Calling, una storia particolare: quella dei curdi che
difendevano la città curdo-siriana dallo Stato Islamico. Un’esperienza,
racconta, «che ancora mi segna. Anche per questo non riesco a capire».
Proviamo a fare chiarezza.
«Domenica
è caduta Afrin, l’enclave curda che, risparmiata dall’Isis, aveva dato
vita a un esperimento di confederalismo democratico. Ad abbatterne le
difese, dopo 58 giorni di resistenza, è stata la Turchia: un esercito
Nato, che usa elicotteri italiani, che attacca insieme all’Esercito
Libero Siriano composto da jihadisti riciclati da altre formazioni come
Stato Islamico e Al Qaeda».
La notizia è su tutti i giornali.
Cosa manca?