Repubblica 1.3.18
L’eterno ritorno di Severino l’ultimo dei parmenidei
di Antonio Gnoli
Un convegno a sessant’anni da “La struttura originaria”
Era
il 1958 quando uscì per le edizioni della Scuola di Brescia La
struttura originaria, un libro filosoficamente impervio scritto da un
ventottenne che insegnava alla Cattolica di Milano. Sarà questo lo
spunto per un convegno in programma a Brescia domani e dopodomani sul
pensiero di Emanuele Severino. Il filosofo, che il prossimo anno compirà
90 anni, avrebbe da ridire sull’idea che esista un “suo” pensiero, dal
momento che la filosofia non può ridursi a una questione personale. La
filosofia non è un punto di vista sul mondo. La filosofia, per Severino,
è il destino stesso dell’Occidente e della Verità.
Quella “verità” che l’Occidente ha continuamente travisato con il suo perdurante nichilismo.
Conclusione,
l’Occidente è il luogo in cui si è manifestato l’errore, ma altresì è
il luogo dell’errare, cioè è il luogo che non ha mai rinunciato a
cercare la verità.
Non so se sia abbastanza chiara la riflessione
di Severino. Ma l’impianto di questo discorso costituisce la forza de La
struttura originaria. Chiedo a Massimo Donà che di Severino è stato
allievo che giudizio dà di quell’opera: «È un libro a suo modo epocale,
nel quale si combinano in modo geniale la struttura ontologica e
immutabile del “Dio” tomista con l’idealismo gentiliano. Ciò che poteva
sembrare un connubio bizzarro, che gli costò tra l’altro un’accusa e un
processo per ateismo, in realtà fu un modo originalissimo per ripensare
la questione dell’eterno o dell’immutabile come il manifestarsi del
divenire. Quando Severino fu espulso per le sue tesi eretiche dalla
Cattolica venne a insegnare a Venezia. Restai folgorato dalle sue
lezioni.
Improvvisamente vedevo Hegel, Kant e Heidegger sotto una
luce nuova». Anche Giacomo Marramao, che di Severino non è stato allievo
ma ha spesso dialogato con lui, sottolinea la radicalità filosofica de
La struttura originaria: «Quando lessi per la prima volta quel libro mi
colpì l’assoluta estraneità rispetto a ciò che in quel periodo marxismo,
esistenzialismo e fenomenologia proponevano.
Queste erano in
qualche modo tutte filosofie del soggetto; mentre quella era puro
distillato di pensiero. La proposta filosofica di Severino poteva dunque
essere accolta come una stravaganza, una provocazione o una tardiva
ripresa dell’idealismo. In realtà in quegli anni passò inosservata ai
più. Solo con la riedizione Adelphi nel 1981 (la casa editrice pubblica
tutte le sue opere teoriche), La struttura originaria entrò
prepotentemente nel dibattito filosofico. Il tratto che più mi colpisce
di questo libro è che l’originario non è assunto come sfondo oscuro,
irrazionale, prelogico; bensì come una struttura sintattica che si
mostra nell’apparire delle cose. Un inno spinoziano all’eternità del
mondo. Un inno, a me pare, composto con la passione di Severino per la
logica e la matematica. Tanto da indurmi a pensare che gli esiti della
sua ricerca siano sorprendentemente simili agli effetti della nuova
fisica». Può sembrare sorprendente che un pensiero nato in un ambito
filosofico tradizionalista (uno dei maestri di Severino è Gustavo
Bontadini) trovi rimandi nella logica pura e nella fisica dei quanti.
Non è casuale che egli si sia misurato con i grandi logici del Novecento
e in particolare con Rudolf Carnap al quale ha dedicato un lungo saggio
apparso in Legge e Caso. In quel libro del 1979 si chiarisce il
confronto serrato con il dominio della scienza (e della tecnica) e con
la follia dell’Occidente. Quest’ultima espressione sarà una sorta di
leit motiv di tutta la produzione severiniana: «Fu una delle locuzioni
che maggiormente colpirono la mia fantasia», ricorda Umberto Galimberti.
«Era il 1960 quando iniziai a frequentare i suoi corsi.
Quel
sistema filosofico, costruito con un rigore estremo, mi sembrò
inattaccabile. Una specie di prigione dorata per qualunque pensiero che
avesse voluto viverci dentro. Come una grandissima opera d’arte. Avrei
mai potuto obiettare a Van Gogh che i suoi girasoli erano imperfetti?
Allo stesso modo non trovavo crepe o difetti al suo potente impianto
logico. Paradossalmente, fu proprio la costruzione di una macchina così
perfetta a spingermi a occuparmi di altro. Cosa avrei potuto
aggiungervi?».
Il convegno bresciano, organizzato
dall’Associazione di Studi Emanuele Severino, è solo uno degli
appuntamenti. Un altro si terrà il 17 aprile al Conservatorio di Milano
dove verrà eseguita Zirkus Suite, un’opera musicale che Severino compose
nel 1947. «Ho l’impressione», spiega Donà, «che quella musica
abbandonata per la filosofia in qualche modo ritorni nelle ultime opere
teoriche di Severino, dove la potenza concettuale sembra lasciare spazio
all’ineffabile bellezza del suono delle parole».