Il Fatto 1.3.18
La Chiesa immobile di Papa Francesco
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- Bergoglio ha sedotto le masse con carisma e battute, ma non ha
riformato l’istituzione che guida. Non per colpa della Curia ostile, ma
perché la sua missione è preservare un mondo sempre più fragile
di Marco Marzano
Papa
Bergoglio non ha fatto, nei cinque anni che ci separano ormai dalla sua
elezione, alcuna riforma, non ha assecondato i piani di coloro che
avevano sperato in cambiamenti strutturali nell’organizzazione del
cattolicesimo.
Le riforme non si fanno, e probabilmente non si
faranno, a causa principalmente dell’inerzia organizzativa della grande
struttura ecclesiale e dell’assenza di una crisi profonda, che potrebbe
innestare l’avvio di qualche cambiamento. Ci sono state però alcune
innovazioni del pontificato che sostituiscono le riforme di struttura:
l’attenzione ai temi economici e sociali e la “politica dell’amicizia”.
Al
tramonto dell’eventualità di mutamenti reali negli assetti di potere
interni alla Chiesa, non è seguita però una delusione profonda da parte
dei riformatori e di quella ampia porzione dell’opinione pubblica
simpatetica verso l’aggiornamento del cattolicesimo. I motivi per i
quali ciò non è avvenuto è il “papismo” di molti cattolici, cioè
l’attitudine a pensare il pontefice come all’uomo della provvidenza,
all’unico soggetto a cui compete davvero e fino in fondo il diritto di
decidere dove la Chiesa debba dirigersi.
A innescare la spirale di
eccezionali aspettative è anche il fatto che, una volta eletto, il
pontefice non è più rimovibile. Questo elemento fa immaginare che egli
sia davvero, dal momento della designazione, un uomo libero, in grado di
realizzare quei progetti che ha sempre segretamente coltivato. Questa
rappresentazione del sovrano cattolico sottovaluta non solo il peso
enorme dell’istituzione, dei suoi interessi, delle sue routine, dei suoi
valori di fondo, ma anche il fatto che l’uomo anziano designato a quel
ruolo è egli stesso un figlio di quella medesima istituzione.
Il
mito del “papa buono e giusto”, circondato da una corte malvagia che ne
sabota i tanti magnifici progetti di riforma, è più vivo che mai nella
Chiesa di Francesco. La personalità e lo stile del papa argentino si
sono imposti con una forza tale da spingere rapidamente in secondo piano
le riforme e i cambiamenti strutturali. Francesco è diventato una
celebrità così popolare, così seducente e intrigante sul piano
personale, da rappresentare in sé una novità sufficientemente ampia per
alimentare la fame continua di personaggi e di simboli. Con la sua
capacità di sedurre le masse, il papa da un lato aumenta immensamente la
popolarità della Chiesa, dall’altro, non solo fa scomparire del tutto
dal dibattito pubblico il tema della secolarizzazione e della sempre
minor rilevanza del cristianesimo. Ma oscura, quasi fosse una cosa
irrilevante, l’esistenza e il funzionamento dell’organismo che dirige,
della macchina ecclesiastica, cioè delle prassi politiche, religiose,
culturali e normative nelle quali è immerso quel mezzo milione di preti
che non si chiamano papa Francesco. Questo, lungi dal rappresentare un
problema per l’apparato ecclesiale, diventa la premessa perché esso
continui a riprodursi senza eccessive interferenze. Un papa come
Francesco occulta, nel discorso pubblico e nella sensibilità collettiva,
il dramma dell’allontanamento dei fedeli e le magagne della macchina
clericale facendosi, grazie al soccorso dei media, egli stesso
cattolicesimo.
Se il papa dice, come ha detto, di aver incontrato
quarant’anni fa una psicanalista ebrea, un’affermazione dagli effetti
nulli per la vita di un’organizzazione che comprende da tempo tantissimi
psicologi, la stampa italiana titola che la Chiesa riconosce e accetta
la psicanalisi; se il papa fa una battuta sul giudicare gli omosessuali,
per i media la Chiesa ha già archiviato la sua tradizionale posizione
di condanna dell’amore tra persone dello stesso sesso. Il sistema della
comunicazione tratta la Chiesa come se fosse un’azienda “liquida”, nella
quale brand, cultura organizzativa, norme e ragione sociale possono
cambiare a seguito di un’alzata di ingegno dell’amministratore delegato.
Il papa non fa niente per correggere questo atteggiamento, anzi lo
accredita, costruendo in questo modo l’immagine di un’organizzazione
religiosa più adatta ai nostri tempi, più gradita alla maggioranza
dell’opinione pubblica che in misura sempre più ridotta frequenta
sacrestie e oratori e che non nutre particolari pregiudizi contro gli
omosessuali o la psicanalisi. La Chiesa cattolica è in realtà
l’organizzazione più solida che esista e i cambiamenti al suo interno
sono regolati da una selva di regole e di norme, ognuna delle quali
richiederebbe, per essere mutata, una riflessione teologica, una
discussione dottrinaria, un confronto attento.
Quello che
Francesco sembra aver compreso è che il messaggio religioso nel nostro
tempo può diventare attraente solo se promette, a chi lo fa proprio, di
“vivere meglio”, di realizzare le proprie aspirazioni, di condurre
un’esistenza più ricca e serena. L’insistenza sulla dottrina, sul
peccato, sulle norme morali da non violare riflettevano un’offerta
religiosa basata sullo scambio tra un comportamento dei fedeli retto e
rispettoso delle norme morali emesse dalla Chiesa e una garanzia di
salvezza eterna assicurata da quest’ultima. In quella visione, la Chiesa
si offriva come mediatrice e agenzia di salvezza tra Dio e gli uomini.
Questa prospettiva è oggi sempre meno credibile. È ormai divenuta troppo
grande la capacità umana di curare e guarire le malattie, di posporre
la morte, di aumentare il benessere e la qualità della vita perché lo
scenario basato sullo scambio escatologico abbia ancora chance di
successo.
Se questa interpretazione è corretta, il papato di
Francesco si concluderà senza grandi botti. Francesco ha 81 anni e si
avvicina inevitabilmente al termine del suo pontificato, che potrebbe
anche concludersi, come avvenuto per il predecessore, con delle
clamorose dimissioni “per raggiunta incapacità di assolvere ai doveri
dell’alto officio”.
Quale sarà la sua eredità? Come capo della
struttura si è rivelato un anziano prete affezionatissimo all’identità
cattolica tradizionale, il servitore fedele di una mentalità clericale
che ha coltivato per un’intera vita, il primo boicottatore di ogni vera
riforma strutturale dell’istituzione. La sua innovazione più grande è
stata la pacificazione di tutte le prospettive interne, la composizione,
in nome della salvezza dell’organizzazione, dei conflitti tra gruppi e
interessi, in un orgoglioso compattamento identitario che getta a mare
tutte le ormai anacronistiche divisioni del passato, e con esse le
teologie che le giustificavano, per ritrovarsi tutti uniti dentro la
medesima struttura di potere maschile e clericale.
Come
rappresentante dell’istituzione si è dimostrato in possesso di
eccezionali strumenti di comunicazione, che lo hanno reso il personaggio
più popolare e amato al mondo, il traghettatore della vecchia barca
cattolica nella società del benessere e dell’immagine. Cosa chiedere di
più?