giovedì 1 marzo 2018

Repubblica 1.3.18
L’immortale desiderio di fascismo
L’essere umano porta con sé l’aspirazione alla libertà o la sua negazione?
Esiste una spinta ad adorare il padrone?
di Massimo Recalcati


Per Pasolini il “ nuovo fascismo” non aveva a che fare con le rinate organizzazioni fasciste dopo la fine della seconda guerra mondiale e la Liberazione, ma con il potere di plasmazione delle vite e delle coscienze che il nuovo “ sistema dei consumi” era riuscito a produrre dagli anni Sessanta in avanti. Questa tesi generale — in sé forse discutibile — ha il merito di emancipare il fascismo dal problema della sua eventuale riorganizzazione politica — che secondo Pasolini era un fenomeno del tutto residuale — per ricondurlo a un grande tema antropologico: siamo così sicuri che gli esseri umani amino più la loro libertà delle loro catene?
Il fascismo come rinuncia al pensiero critico, massificazione, irreggimentazione, soppressione sacrificale del singolare, solleva questo vertiginoso e potente dilemma: l’essere umano porta con sé l’aspirazione alla libertà o la tendenza alla sua negazione? Come hanno mostrato con efficacia psicoanalisti come Reich e Fromm il vero scandalo non è tanto il fascismo come regime politico- militare di tipo repressivo, ma il suo desiderio, il suo fascino, la sua presa seduttiva sulle masse. Come scrive Reich in apertura di Psicologia di massa del fascismo il vero problema non è perché le masse abbiano sopportato passivamente l’oppressione del fascismo, ma perché lo abbiano così ardentemente desiderato. Ecco il punto più scabroso che la crisi del nostro mondo sembra aver riesumato: è possibile desiderare il fascismo? Esiste nell’anima dell’uomo — nel suo inconscio — una tentazione fascista, una spinta gregaria ad adorare il padrone, qualcosa come un desiderio fascista?
Quando Freud scrive Psicologia delle masse e analisi dell’Io l’Europa sta precipitando nell’abisso del totalitarismo. In quest’opera egli suggerisce, con uno spirito che sfiora la chiaroveggenza, un ritratto inquietante della pulsione che anima i legami di massa e che spingerà l’Europa verso la seconda guerra mondiale. La guerra, il conflitto violento tra masse contrapposte, il sovvertimento di ogni dispositivo democratico, la contesa fondamentalista delle ideologie, derivavano, secondo Freud, da una trasformazione ordalica del legame sociale. L’affermazione vitalistica delle masse “ senza mente”, come direbbe Bion, è sempre destinata a rovesciarsi nella passione per la distruzione del nemico. L’amore infatuato per il “capo” sprigiona l’odio paranoico e di massa per l’avversario. Questo significa che la ragione illuminista non è stata l’ultima parola dell’Europa sull’uomo. L’incandescenza acefala della vita delle masse fasciste mostra l’altra faccia della ragione critica: pulsioni ribollenti, moti aggressivi, spinte rapaci che, escludendo ogni forma di mediazione simbolica — la democrazia —, esigono imperativamente la loro soddisfazione. L’Europa che Freud descrive come un accorpamento di fasci aspirati dal sogno perverso di un’unità compatta, identitaria, indivisa, è un’Europa che ha provato a risolvere il suo smarrimento, il suo deficit di instabilità e di identità, attraverso l’identificazione ipnotica allo sguardo e al bastone del capo.
Nell’Europa contemporanea la minaccia alla propria ( precaria) unità sembra incarnarsi soprattutto nel fenomeno dell’immigrazione. Si tratta di una “emergenza” che per alcuni mette in gioco la sua stessa sopravvivenza identitaria. In una realtà politica ancora fragile e ricca di contraddizioni — com’è quella europea — la presenza di questo pericolo esterno — unito ai vissuti “ intrusivi” generati dalla globalizzazione — ha riacceso non tanto l’attivismo politico neofascista, ma — cosa assai più pericolosa — il desiderio del fascismo. Si tratta di un insegnamento prezioso della psicologia collettiva: quando il tumulto sociale, la precarietà e l’instabilità raggiungono il loro colmo, la pulsione gregaria che anima l’identificazione “ a massa” può sempre ritrovare il suo vigore. Il desiderio del fascismo è un desiderio — come direbbe Umberto Eco —, “ eterno” perché esprime una tendenza propria della realtà umana: disfarsi dell’inquietudine della libertà, preferire la consistenza delle catene e della dittatura rispetto all’aleatorietà della vita, cercare rifugio nella cementificazione della propria identità piuttosto che rischiare l’apertura e la contaminazione.
L’inconscio delle masse contemporanee — per quanto private di ogni involucro ideologico e tendenzialmente polverizzate —, sospinge nella stessa direzione verso la quale si era incamminato il fantasma nero del totalitarismo: si invoca la mano pesante, la militarizzazione dei territori, l’irrigidimento dei confini, la repressione, l’esclusione etnica, il respingimento dell’invasore. Le Destre reazionarie in Europa e nel mondo cavalcano l’onda emotiva dell’emergenza. Il miraggio del muro promesso da Trump diviene così il simbolo di un desiderio rinnovato di fascismo. Sarebbe stolto però irridere o guardare dall’alto questi moti pulsionali dell’anima perché essi non riguardano solo una parte politica, ma ciascuno di noi nella sua intimità più propria. Il compito della politica non è quello di negarne l’esistenza, né quello di cavalcarli come mezzi cinici per ottenere un facile consenso. La liberazione dal desiderio del fascismo è un’impresa culturale ed etica di lungo respiro. Nell’asperità dell’attualità la politica deve dare prova di non cedere né all’illusione segregativa del muro, né di cancellare la domanda di legalità e di protezione che da quell’infame desiderio eterno, se si può dire così, proviene.