Repubblica 1.3.18
“Ancora non possono dirsi “italiani”
I grandi assenti in un Paese che non sa sognare
di Michela Marzano
Diritti.
Sarebbe bello che qualcuno ne parlasse, anche solo per ricordare come
nel nostro Paese ancora non ci siamo. E che sono veramente tante le
persone che aspettano che le proprie libertà fondamentali siano prese
sul serio e riconosciute. Ci sono centinaia di giovani nati in Italia,
che parlano la nostra lingua, hanno la nostra cultura e condividono i
nostri valori, che ancora non possono dirsi “italiani”. Ci sono
centinaia di bambini e di bambine che, solo perché vivono in famiglie
composte da due uomini o due donne, non hanno ancora il diritto di
godere degli stessi diritti di tutti gli altri bambini. Ci sono
centinaia di uomini e di donne che, pur avendo moralmente il diritto di
autodeterminarsi, non vedono la propria autonomia riconosciuta a livello
giuridico quando si tratta di affrontare i delicati momenti dell’inizio
o del fine vita. È come se, una volta chiuso il capitolo delle unioni
civili e del testamento biologico nel corso della scorsa legislatura, i
responsabili politici del nostro Paese avessero deciso che non ci fosse
più bisogno di perdere tempo (o energie) con i diritti, e che fosse
giunto il momento di occuparsi di altro. E i bambini che vivono nelle
famiglie omogenitoriali che non sono ancora né protetti né riconosciuti
come ugualmente degni di considerazione e di attenzione? E gli stranieri
nati in Italia che hanno tutto degli italiani, a parte il
riconoscimento pieno della propria cittadinanza? E l’accesso alle
origini per tutti coloro che sono nati da madre che non consente di
essere nominata e che si vedono preclusa anche solo la speranza di
conoscere un pezzo della propria storia? E il cognome materno, che
ancora oggi non si può trasmettere ai propri figli come se solo
l’identità paterna fosse degna di essere ricordata? E il bisogno
fondamentale per ognuno di noi di restare «soggetto della propria vita»
fino alla fine, decidendo quando e come morire?
Sembra assurdo, ma
è proprio così: di questi problemi non ne parla nessuno. E i diritti,
nei programmi di praticamente tutti i partiti, sono assenti: nessuna
promessa, nessuna prospettiva, nessun progetto, nessuna visione. Come se
fosse inevitabile che, in Italia, esistano cittadini di serie A e
cittadini di serie B, e che questi ultimi si debbano accontentare delle
briciole, capendo una volta per tutte che le priorità sono altre.
Peccato che la promozione dell’uguaglianza di tutti e di tutte,
nonostante le differenze di sesso, di genere, di orientamento sessuale,
di colore della pelle, di credo religioso, di abilità o disabilità
fisiche o psichiche, faccia parte del codice genetico di ogni democrazia
liberale, e che solo creando le condizioni morali e materiali per il
rispetto della dignità di tutti l’Italia potrà poi confrontarsi a testa
alta con il resto dell’Europa.