lunedì 19 marzo 2018

Repubblica 19.3.18
Pd, il dilemma dell’esecutivo
di Massimo Giannini


A due settimane dalla chiusura delle urne, il voto ha cambiato la faccia del Paese, ma non quella dei “due vincitori”. Di Maio e Salvini si muovono ancora come se fossimo nella fase finale della campagna elettorale, e non in quella iniziale della nuova legislatura. Hanno vinto, ma non hanno i voti per governare da soli. Sono il primo partito e la prima coalizione, ma aspettano una telefonata dagli sconfitti. O si sentono tra loro, ma per parlare d’altro. Questa recita a soggetto, per ora, va in onda in un clima di sorprendente “ normalità”. Gli italiani osservano, i partner europei aspettano, i mercati ristagnano. Galleggiamo dentro una strana bolla: accidiosa ma molto pericolosa.
Le parole di Salvini nel salotto di Barbara D’Urso lo confermano: stiamo ballando sotto il vulcano. Nel vicolo cieco dell’ingovernabilità si delineano due possibili vie di fuga. Una peggiore dell’altra. La prima è una fuga verso l’ignoto: nessun accordo sul nuovo governo e ritorno a elezioni in tempi brevissimi ( converrebbe a Cinque Stelle e Lega, che capitalizzerebbero subito questa ulteriore fase di paralisi del “ vecchio” sistema e aumenterebbero ulteriormente i propri consensi ispirati all’urgenza del “ nuovo”, come dimostrano tutti i sondaggi da Ilvo Diamanti a Nando Pagnoncelli). La seconda è una fuga verso l’abisso: saldatura dell’asse tra Di Maio e Salvini ( taglierebbe fuori non solo il Pd, ma “ liquiderebbe” anche Forza Italia e quel che resta della galassia centrista, ormai ridotta allo stato gassoso).
Il “ patto populista- sovranista” che tanto entusiasma Steve Bannon può passare per diversi gradi di intensità. Il patto a bassa intensità è agevole e ormai quasi certo: si spartiscono tra loro le presidenze di Camera e Senato, Montecitorio ai pentastellati e Palazzo Madama ai leghisti ( toccherebbe alle opposizioni, ma dallo strappo berlusconiano del ‘ 94 il rispetto istituzionale è merce avariata). Il patto a media intensità è possibile, ma non facile: si mettono d’accordo per un governo di scopo affidato a una figura “ neutra”, e insieme riformano la legge elettorale introducendo un premio di maggioranza, per poi tornare a elezioni trasformate in un ballottaggio M5S- Lega. Il patto ad alta intensità è improbabile, ma non impossibile: si alleano per un governo di legislatura, magari guidato da una figura “ terza”, mettendo in comune ministri e programmi. Come ribadisce Salvini: niente è impossibile.
Non sappiamo se e quale può essere l’intensità della convergenza tra questi profeti della “ popolocrazia”. L’unica cosa certa è che più si stringe la morsa di una maggioranza grillo- leghista, più l’Italia rischia l’osso del collo. Di Maio e Salvini hanno trovato la “ chiave” giusta ( securitaria e/ o assistenziale) per penetrare il muro di solitudini eretto in dieci anni di Grande Crisi intorno alle periferie del Paese ( che invece la sinistra non ha neanche cercato, rinchiusa nelle torri d’avorio dei centri storici benestanti e benpensanti). Ma resta un fatto, incontrovertibile: insieme sono una minaccia oggettiva. Lo sono in ogni senso. Sul piano dei valori, e anche su quello dei numeri. Tra flat tax, reddito di cittadinanza e abolizione della legge Fornero, le promesse fatte dai “ due vincitori” viaggiano oltre i 100 miliardi di euro l’anno. Se si sommassero in un programma di governo, come giustamente si aspettano i rispettivi elettorati, cosa ne sarebbe di noi?
Non è solo questione di “ vincoli esterni” imposti dalla solita Europa matrigna, dall’odiosa “ dittatura” dei mercati o dalle sopracciglia alzate di Merkel e Macron. Ma questo è il “ contesto” con il quale dovremo fare i conti, chiunque arrivi a Palazzo Chigi. L’Italia deve varare un Def entro il 10 aprile: cosa ci metteremo dentro? Prima dell’estate ci toccherà forse una manovra correttiva tra i 3 e i 5 miliardi: la faremo, come chiede la Ue? Tra 2018 e 2019 scadono clausole di salvaguardia per 32 miliardi, con relativi e automatici aumenti dell’Iva: con quali entrate alternative pensiamo di disinnescarle? Nel prossimo biennio ci aspettano emissioni di titoli pubblici a medio- lungo termine per quasi 400 miliardi: con la Bce che riduce fino a chiuderli del tutto i rubinetti del Quantitative easing, i privati riusciranno ad assorbirne il 74% nel 2018 e l’ 85% nel 2019?
Si potrebbe continuare, con queste e molte altre domande. Comprese quelle che riguardano una politica dell’immigrazione affidata agli sceriffi “ lumbard” indottrinati dal tribuno in felpa verde. O una politica dell’occupazione gestita dai seguaci del comico genovese, che più che alla “ società senza lavoro” immaginata a Cambridge da Joseph Stiglitz sembra ispirata a Una vita in vacanza cantata a Sanremo dallo Stato Sociale. Ma può bastare così, per avere un’idea di quale enorme maleficio possa diventare una somma algebrica e politica tra l’ibrido pentastellato e la destra sovranista.
Hanno vinto le elezioni ( e stavolta tutti, a partire dal Capo dello Stato, dovranno tenere conto della volontà popolare). Hanno dunque il diritto di governare ( se sono capaci di costruire una maggioranza organica). Ma se si aprisse uno spiraglio per scongiurare questo disastro la sinistra farebbe bene a guardarci dentro. Senza snaturare se stessa, ma senza scommettere sul “ tanto peggio tanto meglio”. Senza subire alleanze forzose o gestire convergenze parallele, semmai rilanciando sfide politiche. Posino gli smartphone e ascoltino l’Italia profonda. Se c’è un Orbán tricolore alle porte, se avanza un Frankenstein metà grillino metà padano, gli Aventini diventano inutili. Come lo furono per i plebei romani e i deputati antifascisti.