Repubblica 17.3.18
Il crollo nell’ex monastero di San Paolo Maggiore
Così il corpo di Napoli si disfa
di Tomaso Montanari
Il
corpo di Napoli si disfa, ci precipita addosso. Non è un incidente
quello di ieri, non una fatalità: ma l’ovvia, annunciatissima
conseguenza di decenni di abbandono.
Quando, nel pieno Seicento,
Napoli era la più grande metropoli d’Italia e una delle prime d’Europa,
nel suo cuore antichissimo sorse una città nella città. Centinaia di
chiese, conventi, monasteri, confraternite: una immensa “ Napoli sacra”
che non conteneva solo luoghi di culto o dormitori, ma anche chiostri in
cui il silenzio era rotto solo dalle acque abbondantissime delle
fontane; incantati e profumatissimi giardini di agrumi; biblioteche;
farmacie; opere d’arte d’ogni sorta. «Non è omo che non la brami, e che
non desideri di morirvi … Napoli è tutto il mondo! » scriveva
l’accademico Ozioso Giulio Cesare Capaccio nel suo Forastiero ( 1634).
Il convento di San Paolo Maggiore era uno dei luoghi più illustri di
questo ombelico del mondo: sorto sull’agorà della Napoli greca, ridette
vita al tempio dei Dioscuri, usandone le colonne e conservandone l’aura.
Ed è in uno dei suoi due chiostri che ieri sono venute giù due volte:
senza provocare una strage solo per miracolo.
I lavori in corso
erano quelli del Grande Progetto Unesco che, lentissimamente, sta
finalmente provando a salvare ciò che rimane del centro di Napoli. Dove
nel Seicento si visitavano 400 chiese, quelle accessibili e in discrete
condizioni sono oggi una cinquantina. Almeno altre duecento esistono
ancora: ma sono sprangate per tutti tranne che per i ladri che le
spogliano inesorabilmente di marmi barocchi che finiscono nelle ville
dei boss, o sul mercato internazionale.
Moltissime altre sono
chiuse, spesso dal 1980: pericolosamente siringate di cemento dopo il
terremoto, e poi riempite di ponteggi, disseminate di piccioni e topi in
decomposizione, coperte da una infinita coltre di polvere. Negli ultimi
decenni questa vertiginosa e perduta Napoli Sacra è stata la grande
rimossa di ogni politica culturale. Lo Stato, il Comune e la Curia (i
principali proprietari di un patrimonio frammentatissimo) si sono
dedicati agli eventi, all’industria delle mostre, da ultimo ai musei:
dimenticando, però, il corpo di Napoli. Che ora ci ricorda che esiste
nell’unico modo possibile: sfarinandosi.
Sono mancati i soldi,
certo. Ma prima ancora l’attenzione, l’amore, la conoscenza: e,
soprattutto, un progetto unitario. Una visione chiara di come ridare
senso a questa enorme città nella città senza stravolgerne il carattere
storico e artistico, anzi tutelandolo ed esaltandolo. Mentre la Curia
affitta chiese mirabili a improbabili imprenditori, e il Fondo Edifici
di Culto del ministero dell’Interno organizza mostre con i pezzi
pregiati, solo la giunta di de Magistris ha dimostrato di avere un’idea:
per esempio destinando l’ex Asilo Filangieri ( che è parte di una altra
grande insula monastica, quella di San Gregorio Armeno) ad un esemplare
uso civico. È da qua che bisogna ripartire: perché la nostra
generazione non salverà il corpo di Napoli se non saprà dargli un’anima
nuova.