Repubblica 17.3.18
Pablo Picasso: disegnare è già scolpire
di Cesare De Seta
Il
Masi di Lugano dedica un omaggio speciale al maestro spagnolo
ripercorrendone l’evoluzione artistica attraverso 120 opere, alcune mai
esposte La costante è il rapporto con la matita, lo strumento che dà
corpo alle sue idee
Nessun artista del Novecento può
reggere il confronto con Pablo Ruiz y Picasso, nato a Malaga nel 1881 e
morto a Mougin nel 1973 nel Midi della Francia che dall’età di 19 anni,
quando giunse a Parigi, divenne la sua patria elettiva. Ma rimase sempre
un artista andaluso quantunque seppe attingere, come una piovra dai
mille tentacoli, tutto quanto accadeva intorno a lui e quanto vedeva nei
musei: da El Greco a Velázques a Goya, dai grandi veneti a Delacroix e
Manet. Le pagine dedicate alla sua opera e alla biografia non si
contano, così le mostre ed è persino un azzardo farne una che non ripeta
il già detto e il già visto. Eppure ci è riuscita Carmen Giménez,
malagueña come lui, con la mostra Picasso. Uno sguardo differente che si
tiene al Masi di Lugano, in stretta sintonia con Coline Zella del Musée
national Picasso di Parigi che possiede la più ricca collezione di
opere al mondo donate dal maestro e dagli eredi. Frugando negli archivi
le curatrici hanno messo in mostra un centinaio di disegni più
acquerelli, olii, pastelli e soprattutto molte sculture spesso disattese
e trascurate.
La mostra si snoda nelle sale che danno sullo
scintillante lago e ha un saggio andamento cronologico. Con “uno sguardo
differente” la mostra dipana la matassa dell’evoluzione stilistica del
maestro soprattutto attraverso disegni e sculture e lo stretto legame
che c’è tra gli uni e le altre. Si parte da uno studio per i
Saltimbanchi (1905) e si passa a tre fogli per le
Demoiselles
d’Avignon (1907) ragazze di un bordello di Barcellona, città con la
quale ebbe un intenso rapporto fin dalla gioventù.
Gli studi per La moglie del fattore (1908) sono già sculture e nelle
Bagnanti
nella foresta esplode il colore. Un sintagma stilistico che ne segna
tutta l’opera fino alla morte sopraggiunta mentre faceva colazione. Poi
la serie sfaccettata di nudi femminili che preludono alla magnifica
testa in bronzo di Fernande Olivier (1909), la ragazza che aveva
scoperto al Bateau Lavoir, con cui condivise anni difficili e un’intensa
passione. Tra il 1909 e il 1911 disegni cubisti, ma anche ritratti
femminili e maschili di fattura ingresiana. Ma l’opera di Picasso è un
pendolo che non lascia mai una strada intrapresa. A Mandolino e
clarinetto (1912), una splendida scultura in legno dipinto di fattura
cubista, fanno pendant una serie di fogli che sono nature morte con gli
usuali oggetti della vita corrente.
Bottiglie, giornali,
bicchieri, pacchetti di sigarette monocromi o a colori fino alla
scultura Violino (1915) che abbaglia per l’intensità cromatica dei pezzi
che lo compongono. Gli strumenti musicali, come chitarre e mandolini,
sono una sua passione e almeno fino al ’20 tornano con continuità nelle
composizioni dalle tonalità mai uguali. Il buffet è l’arredo su cui
dispone questi strumenti che sono anche in mano agli Arlecchini.
Il
ritratto di André Derain (1919) è un filo sottile di matita che rimanda
a quelli celebri di Strawinskj, Jacob, Apollinaire e Djagilev: si è già
in piena temperie neoclassica. Ma con Bicchiere e pacchetto di tabacco
(1921)
Picasso ritorna alla scansione cubista con una scultura in lamiera
tagliata e dipinta con una squillante policromia. Con esili tratti di
matita o di penna impagina in un foglio quattro sagome di donna, in un
altro è seduta in poltrona: nello stesso anno il ’29 la figuratività è
del tutto scomparsa come testimonia la Donna con il pallone a inchiostro
su carta.
Una serie di studi di mani a penna, acquerello o
pastello preludono alla scultura della sua magica Mano (1937) in gesso
la cui ruvida forza è memoria della grande tradizione del romanico e del
gotico catalano così come si vedono nelle cattedrali della terra
d’origine.
Con la serie di Cerchi e segni, datate con acribia 29
ottobre 1930, Picasso vuole dirci qualcosa d’importante: sono solo tre
cerchi due dei quali attraversati da linee verticali e tratti più spessi
in orizzontale.
Una serie di fogli a china sono numerati sullo
stesso tema grafico. Quasi un omaggio al surrealismo del più giovane
Joan Miró che l’aveva conosciuto quando era tornato a Barcelona per
seguire i belletti di Djagilev. Nel ’31 con le
Bagnanti torna a
una figurazione stralunata ma non astratta, preludio alla scultura della
Bagnante con le braccia levate o a quel magnifico totem in bronzo che è
la Donna con mele (1934).
La figuratività ritorna con gli studi
per il ritratto di Marie-Thérèse (1936), nella veduta di Juan-le-Pins,
nel bellissimo guazzo, china e matita del Minotauro ferito da un
cavaliere con cavallo.
Nei primi anni quaranta tornano i nudi
delle Bagnanti con continuità ma trattati a matita di tre colori. Del
’43 in piena guerra la Testa di morto in ferro e rame, agghiacciante
“memento mori”.
A guerra finita i disegni tornano al colore e alla
gioia di vivere: la bellissima Capra ( 1950) incinta in bronzo sta a
dire che la vita ha ripreso il suo corso e così Picasso torna a
disegnare donne nude che molto amò e molto fece soffrire. La serie dei
teatrini sono un interludio giocoso, i Ritratti di famiglia dei primi
anni ’60 sono disegnati a matite e pastelli coloratissimi e preludono
alla Coppia e uomo con pipa datata 6 luglio 1966.
Il mago Picasso
ha sciolto fino all’ultimo la sua matassa con una mirabile coerenza e i
testi di Carmen Giménez e Francisco Calvo Serraller in catalogo sono una
guida sapiente che svelano tratti inediti di una prodigiosa creatività.