sabato 17 marzo 2018

Repubblica 17.3.18
Le elezioni in Russia
Lo zar putin più forte del veleno
di Bernardo Valli


La notizia dell’avvelenamento di Salisbury accompagna la scontata rielezione di Vladimir Putin per un quarto mandato.
I 110 milioni di russi che votano domani non riserveranno sorprese, non influenzati da quel che è accaduto in Gran Bretagna. Gli altri 7 candidati (tre liberali, due comunisti, due ultranazionalisti) sono e restano inevitabili comparse di un sistema autoritario, indipendentemente dai loro sentimenti e intenzioni. Più dei voti conterà la partecipazione.
Dal numero delle schede riempite Putin misurerà la sua popolarità. Gli elettori di Mosca e di Pietroburgo ignorano per lo più la sorte delle spie di Salisbury. Sulla nuova, non certo sorprendente, conferma di Putin al potere, i più pessimisti sentono soffiare il vento della Guerra fredda.
Ma il ricorso a questa vecchia espressione, usata puntualmente a torto e a traverso, è in questo caso inappropriata, perché all’origine riferita allo spirito ideologico, militare, geopolitico dell’Unione Sovietica, con il quale la Russia d’oggi ha poco a che vedere.
***
Alla vigilia del voto, la sfiducia tra Mosca e le potenze occidentali ha raggiunto toni insoliti, anche rispetto alle passate, quasi croniche polemiche. È accaduto in seguito all’accusa, simultanea alle elezioni, di avere tentato il 4 marzo l’avvelenamento con gas nervino dell’agente doppio Sergei Skripal, 66 anni, e della figlia, Yulia, 33 anni. Accusa prima lanciata dall’Inghilterra, poi seguita da Stati Uniti, Germania e Francia. Il fatto essendo avvenuto a Salisbury, nel Sud dell’Inghilterra, era da considerare secondo il governo di Londra un attentato alla sovranità britannica. L’uso offensivo del neurotossico di qualità militare, di un tipo prodotto in Russia, sarebbe stato il primo dalla Seconda guerra mondiale in un paese occidentale. Quindi una violazione del territorio britannico che ha provocato l’espulsione in massa di diplomatici russi e una concertazione tra i principali alleati in vista di sanzioni, da aggiungere a quelle già esistenti in seguito alla crisi Ucraina e all’annessione della Crimea.
Oltre alle accuse sempre più categoriche delle autorità inglesi, condivise da americani, tedeschi e francesi (gli italiani impacciati dalla incerta situazione interna si sono associati in ritardo), pesa su Vladimir Putin il suo passato nel Kgb, del quale ha fatto parte dall’età di ventitré anni. Le abitudini di quel periodo non lo avrebbero mai del tutto abbandonato, e quindi la sua biografia appesantisce i sospetti.
I fatti di Salisbury aprono una terza crisi tra la Russia e i paesi occidentali. La prima, irrisolta, è l’Ucraina, la cui insubordinazione verso la Federazione russa ha fatto fallire il progetto, tentato da Putin, di un’alleanza euroasiatica che avrebbe ricreato in qualche modo l’impero perduto. Da quella crisi Putin ha ricavato un bottino importante anche se costoso, quale è la Crimea. La dimenticata, sempre micidiale, instabilità del confine russo-ucraino, è rimasta un tumore nel cuore dell’Europa. Ma è nel Medio Oriente che Vladimir Putin è riuscito ad imporsi. Giocando gran parte della sua potenza militare ha sostenuto Bashar al Assad, considerato un criminale di guerra ( a volte frequentabile perché utile) dagli occidentali. Ha aiutato il rais di Damasco nella riconquista di Mosul e di Raqqa, ed è diventato un suo alleato indispensabile, tanto da progettare con lui una spartizione della Siria. Nel groviglio di alleanze mediorientali tenta di eliminare i ribelli nemici di Assad ma alleati degli americani. Con i quali cerca però di avere buoni rapporti. E lascia fare i turchi che cercano di eliminare le milizie curde, anch’esse alleate degli americani ormai distratti e sempre meno interessati al Medio Oriente, da quando sono autosufficienti per quanto riguarda il petrolio. I turchi, vecchi alleati nella Nato, godono di qualche riguardo e ispirano molte perplessità. Fino all’allarme inglese, per l’uso del gas nervino a Salisbury, Donald Trump aveva trascurato l’attivismo di Vladimir Putin nella valle del Tigri e dell’Eufrate.
Per ora, con l’Inghilterra, dopo qualche esitazione, si sono impegnati contro Putin la Germania, gli Stati Uniti, la Francia. L’Italia è apparsa più impacciata. L’incerta situazione interna le impedisce di muoversi con decisione. I successori di Gentiloni hanno posizione diverse. Il leghista Salvini ha già espresso in più occasioni la sua simpatia per Vladimir Putin. La sua alleata Meloni, durante la campagna elettorale in Italia, ha fatto visita a Budapest, capitale euroscettica di un paese membro dell’Unione europea. E con lo sguardo spesso rivolto alla Mosca di Putin. Non è facile distinguere gli alleati dagli avversari. Le affiliazioni contano poco e così Putin può anche dividere l’Europa. È amico dei populisti. E questa è la loro stagione.