venerdì 16 marzo 2018

Repubblica 16.3.18
Intervista a Robert Harris
“Quello di Mosca è puro terrorismo Come nel 1914 il caos è alle porte”
di Antonello Guerrera

Neanche Hitler aveva usato agenti nervini così letali contro gli alleati. Non ci sarà una nuova Guerra fredda ma una cibernetica sì
L’autore e il libro
Robert Harris, 61 anni, è uno scrittore britannico, autore di romanzi storici e di spionaggio, come il suo celebre Fatherland e Ghostwriter (poi film di Polanski L’uomo nell’ombra). Il suo ultimo libro è Monaco, edito da Mondadori.

«La Russia ha compiuto un atto terroristico sul suolo britannico. E non è vero che un simile attacco chimico contro uno Stato straniero non avveniva dalla Seconda guerra mondiale.
Neanche Hitler aveva usato agenti nervini così letali contro le potenze alleate. Siamo sull’orlo di una catastrofe, come nel 1914: un singolo gesto può scatenare il caos». Robert Harris è durissimo. Il celebre autore inglese di spystory bestseller e romanzi storici come Fatherland, Enigma, Archangel, il Ghostwriter poi L’uomo nell’ombra
di Polanski, i Diari di Hitler, e l’ultimo Monaco (Mondadori) ha spesso scritto di nazismo, comunismo e Guerra fredda.
Anche per questo, ha una posizione ancora più severa e inquieta del comunicato di Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Francia contro la Russia.
Perché, signor Harris?
«Finalmente anche l’Occidente si è reso conto che la Russia ha compiuto un attacco terroristico in Inghilterra. Hanno trasportato un’arma di distruzione, di Stato e di massa, così letale, sul nostro suolo. L’hanno usato in una cittadina tranquilla come Salisbury, cercando di uccidere dei civili. Venti persone innocenti sono rimaste ferite, alcune gravemente. È terrorismo, perché instilla terrore».
Ieri il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, ha usato una retorica “alla Churchill” parlando di Salisbury: «Una tranquilla città medievale ha subìto il primo uso aggressivo di un agente nervino in Europa dalla Seconda guerra mondiale».
«In realtà è una prima volta per noi. Neanche nella Seconda guerra mondiale gli Alleati avevano ricevuto un attacco simile dai nazisti, che avevano sì sviluppato simili armi di distruzione di massa, ma non erano riuscite a utilizzarle».
Quale può essere lo scopo
ultimo di un’azione così clamorosa della Russia?
«Putin ha voluto lanciare un segnale, è evidente. Sono avvertimenti sofisticati, mafiosi, per terrorizzare i suoi oppositori, provocare il Regno Unito, testare la resistenza dell’asse occidentale. La Russia ha un risentimento storico nei nostri confronti: vuole instillare il caos nell’Occidente per spaccarlo, come l’Urss si spaccò per le tensioni interne. Allo stesso tempo, oggi è un errore trattare la Russia come uno Stato, perché non insegue più ideali nazionali.
Al contrario, è sempre più espressione individuale di Putin».
In che senso?
«Ciò che i russi hanno fatto a Salisbury non ha razionalità né logica in ambito nazionale e diplomatico. È una mossa psicologica, destabilizzante, espressione di Putin. È anche un gesto per cementare il consenso interno, a pochi giorni dalle urne».
Alcuni paesi, come la Francia, inizialmente hanno esitato a schierarsi subito con Londra.
«Hanno reagito tutti tardi, ma alla fine hanno capito che non c’era altra scelta. Perché quella di Putin è una provocazione. Più passano i giorni e più si capisce che a Salisbury è accaduto qualcosa di incredibile e inaccettabile».
Una reazione così ferma dell’Occidente sarà utile contro la Russia o controproducente?
«Le risponderò con una frase di Lenin: “Prova con una baionetta: se incontri poltiglia, avanza. Se incontri acciaio, ritirati”. Lo spirito della Russia è rimasto lo stesso. Opporsi con durezza è l’unica scelta sensata».
Stiamo entrando in una nuova Guerra fredda?
«Non credo. Perché questa è una guerra totalmente diversa. La Guerra fredda era ideologica, tra blocchi di potere. Oggi gli schieramenti sono molto più frammentati. Rischiamo un altro tipo di guerra».
Di che tipo?
«Una guerra senza carri armati o missili, ma “nell’atmosfera”, cibernetica, nei nostri apparati informatici, come nella campagna elettorale americana. Può scatenarsi un’escalation che mi spaventa moltissimo perché può causare danni fatali nella nostra società informatizzata, dal funzionamento degli ospedali al sereno svolgimento democratico.
Siamo estremamente vulnerabili, come nel 1914 a Sarajevo: un qualsiasi gesto violento può scatenare la catastrofe».
Il Regno Unito e la Russia hanno una lunga storia recente di mutuo spionaggio, dai “Cambridge Five” a oggi.
«Certo, ci sono stati scontri come nel 1971, ma persino durante la Guerra fredda venivano comunque rispettate delle regole tra paesi, tra le quali l’immunità per le spie “scambiate”, vedi il caso di Kim Philby. Oggi non più, come abbiamo visto con l’avvelenamento di Skripal».
Lo stretto legame finanziario tra il Regno Unito e gli oligarchi russi è un problema per Londra?
«Lo è più per la Russia: se i loro asset fossero congelati sarebbe molto negativo per Mosca, che tra l’altro con i suoi rubli da tempo prova a influenzare anche la politica britannica».
Lei ha scritto bellissimi libri di spionaggio, Guerra fredda, nazismo, comunismo. C’è un romanzo che le ricorda la vicenda che stiamo vivendo?
«Difficile dirlo. Ripeto, non è una nuova Guerra fredda, è qualcosa di diverso. Questa situazione inedita e minacciosa mi ricorda le sensazioni de Il Club dei 39 di John Buchan (poi film di Hitchcock, ndr) o L’enigma delle sabbie di Robert Erskine Childers. È come se fossimo tornati alla vigilia della Prima guerra mondiale».