Repubblica 16.3.18
Se Putin unisce l’occidente
di Vittorio Zucconi
Doveva
essere la Russia a ricomporre almeno l’apparenza di un fronte delle
democrazie occidentali e a restringere quell’oceano Atlantico che Trump
stava allargando. Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e presto
Canada e persino il minuscolo Lussemburgo hanno sottoscritto o
sottoscriveranno una sorta di nuovo, mini Patto Atlantico per
fronteggiare quella che ormai anche Trump ha dovuto riconoscere come la
nuova minaccia russa. Se per ora da questa improvvisata alleanza ad hoc
sembra esclusa l’Italia – nonostante la solidarietà a Londra espressa da
Gentiloni e Alfano – forse l’assenza si spiega con la totale incertezza
e la confusione politica che regna a Roma, dove i due partiti vincitori
delle elezioni hanno scoperte simpatie per Putin, come la Lega, o
vivono di acrobazia e ambiguità, come il Movimento Cinque Stelle.
Il
presunto successo internazionale di Vladimir Putin che aveva riportato
Mosca al centro o non più ai margini della politica internazionale dopo
lo sfascio dell’Urss e l’imbarazzante parentesi di Boris Eltsin si sta
dunque rivoltando contro il nuovo zar. Putin, dall’annessione della
Crimea fino all’ormai riconosciuto intervento nei processi elettorali
americani attraverso gli hackers, è riuscito a fare quello che Stalin
aveva fatto inghiottendo l’Europa dell’Est anche oltre le vaghe intese e
sfere di influenza concordate a Yalta. Avere costretto persino Donald
Trump, il candidato che aveva pubblicamente invocato l’aiuto di Putin
per battere Hillary Clinton, ad ammettere le interferenze russe nella
vita democratica americana, ad accettare finalmente sanzioni dalle quali
aveva sempre svicolato e a unirsi all’iniziativa di Theresa May di
rappresaglie per l’attacco con il gas nervino all’ex spia del Kgb a
Londra conferma una storica e paradossale maledizione che colpisce la
Gran Madre Russia: vincere le guerre e perdere la pace.
È come se
la cronica, storica assenza di cultura e tradizione democratica in
Russia aiutasse gli autocrati del momento, si chiamino Aleksandr
Romanov, Josif Džugašvili Stalin o Vladimir Putin a resistere alle
aggressioni militari e poi a perdere il prestigio tanto dolorosamente
acquistato sui campi di battaglia. Putin aveva tutta la scacchiera a suo
favore, a cominciare da un’Europa affamata di scambi commerciali fra le
materie prime russe e i prodotti occidentali. Governi europei di ogni
colore firmavano accordi e scambiavano cortesie, mentre le barriere
della Guerra Fredda collassavano.
Ma il nuovo zar ha voluto
esagerare, ha voluto stravincere. Per garantirsi nuovi successi ha
brigato, come ormai riconosce anche Trump, per bloccare Hillary Clinton e
favorire il candidato repubblicano, così aprendo un abisso di
diffidenza e di inchieste giudiziarie nelle quali anche le più
amichevoli intenzioni - e gli interessi finanziari del Clan Trump - sono
sprofondati. Questa nuova mini alleanza ad hoc spinta dall’uso del gas
nervino Novichok a Londra e stimolata dall’ansia della sempre più
isolata Theresa May che vi ha trovato il pretesto per ricompattare
l’Europa nella Psicosi dell’Orso, è il segnale di una sconfitta politica
maturata ben prima del tentato omicidio di Londra e del ritorno al
mondo di Le Carrè fra doppiogiochisti e infiltrati dei servizi. Avendo
creato l’impressione, suffragata dalle indagini di tutte le intelligence
occidentali, di aver voluto truccare le carte delle elezioni americane e
di continuare nella sordida tradizione degli “affari bagnati”, gli
assassinii orditi dal Kgb, Putin ha fatto quello che Trump aveva cercato
di disfare con il proprio avventurismo e che May aveva fatto vacillare
tagliando il cordone ombelicale con il Continente: Putin ha reinventato
un Occidente che si stava perdendo e ha costretto persino Trump a
ricordare che il nemico storico non è lo spettro di Obama né
l’inquisitore speciale Mueller, ma è l’impero russo quando tenta di
manipolare la politica interna dei Paesi liberi.
Quanto solida sia
la ritrovata fermezza di Trump o l’unità delle nazione europee di
fronte alla tracotanza del Cremlino e dei suoi miliardari oligarchi
resta da misurare alla prova dei populismi che avanzano in Occidente e
guardano, come tutti i populismi, con simpatia al mito dell’Uomo Forte
al comando. Ma dopo l’effimero successo della Crimea e della guerra in
Ucraina, Putin deve guardare con occhi ben aperti all’ipotesi di una
nuova Guerra Fredda, che lui stesso ha alimentato esibendo – in classico
stile sovietico – un nuovo supermissile inarrestabile, da Dottor
Stranamore.
Se Trump rinsavirà e abbandonerà la strada della
disgregazione delle democrazie occidentali accelerata dall’insensata
guerra doganale lanciata con le tariffe sulla siderurgia, lo dovremo al
carissimo nemico, alla Russia, eternamente condannata a crearsi i nemici
che poi dovrà fermare.