mercoledì 14 marzo 2018

Repubblica 14.3.18
Storie, parole, volti e immagini di una grande tragedia repubblicana
di Filippo Ceccarelli


Ma l’estetica da sola non spiega, né le suggestioni vanno in profondità. Così occorre dire subito che si tratta di un’inchiesta vecchio stile, seria, fattuale, aderente al ritmo della cronaca, senza fronzoli né elucubrazioni. Anche per questo, come d’altra parte era a quei tempi, la parola scritta, la sua luminosa e intellegibile potenza, resta al centro del racconto: i titoli dei giornali danno una sequenza e un ordine ai fatti; la fredda e grossolana grafica dei volantini Br già indica il destino dell’annientamento; e se la scrittura del prigioniero si fa più nervosa con il passare dei giorni, l’elegante calligrafia di Paolo VI sottolinea l’impotenza dolorosa di una figura al tramonto. Come in un rito di passaggio, insieme con Moro finisce senz’altro una politica; ma quando a via Fani il corpo di un agente viene pietosamente coperto dalla carta dei quotidiani, anche un sistema di comunicazione giunge forse al suo punto terminale, e già il “dopo” si preannuncia insidioso, denso com’è di apparenza, rapidità, euforia, leggerezza, superficialità. Parecchi i testimoni chiamati a dare un senso a una vicenda che tuttora sembra per alcuni versi governata da “un’Intelligenza che sta dietro”. Per flemmatica lucidità resta impresso Giovanni Moro; particolarmente vacuo l’allora Pm Luciano Infelisi; abbastanza verboso, ripreso davanti a specchiere e cornici d’oro, Beppe Pisanu, al tempo capo della segreteria di Zac.
Il fedele segretario di Moro, Nicola Rana, racconta di Gianni Agnelli pronto a pagare un eventuale riscatto; Giorgio Napolitano di quando, d’accordo con Berlinguer, decise comunque di partire per gli Usa.
Disperata come chi solo dopo molti e durissimi anni si è resa conto di essersi abbandonata a qualcosa che ancora terribilmente la sovrasta, appare Adriana Faranda. «È stato un macello...» le dice Morucci subito dopo via Fani – e dinanzi a lei colpisce anche l’espressione di Ezio Mauro, pur schermata dietro due occhi come capocchie di spilli.
Non era facile intervenire su un’immaginario già così colonizzato da una montagna di libri, film, poesie. Ma le parole e le immagini del Condannato, i buchi sulle lamiere, la mitraglietta Skorpion, danno maggiore forza ai versi di Mario Luzi: «Acciambellato in quella sconcia stiva,/ crivellato da quei colpi,/ è lui, il capo di cinque governi,/ punto fisso o stratega di almeno dieci altri,/ la mente fina, il maestro/ sottile/ di metodica pazienza...». Così come rendono più autentico ciò che del delitto Moro scrisse nel 1979 Guy Debord, profeta della società degli spettacoli: «Un’opera mitologica a grandi macchinari scenici, in cui degli eroi terroristi a trasformazioni multiple sono volpi per prendere in trappola la preda, leoni per non temere nulla da nessuno per tutto il tempo che la tengono in custodia, e pecore per non trarre da questo colpo assolutamente niente che possa nuocere al regime che ostentano di sfidare».
Nel frattempo, a piazza del Gesù si vede uno slargo pedonale che allora non c’era; sotto le Botteghe Oscure, al posto di Rinascita, c’è un supermarket; e osservando la palazzina di via Gradoli viene in testa che proprio qui s’è svolto anche un pezzetto del caso Marrazzo. Irriconoscibile il paesaggio italiano, irriconoscibili gli stessi italiani che passavano accanto alla Renault rossa facendosi il segno della croce.
Sembra strano, ma a rivederlo dopo quarant’anni, era un Paese più composto o forse solo meno isterico e depresso di quello immaginato fra le carte dell’archivio di Stato, sotto le splendide guglie di Sant’Ivo alla Sapienza, come sotto la pioggia che bagna il piccolo camposanto di Torrita Tiberina.
“Il Condannato - Cronaca di un sequestro”, il film di Ezio Mauro
Rivisti in questo tempo confuso, i colori degli anni ’70 sono pesanti, sgranati e paiono addirittura più irreali degli stessi eventi che pure allora certissimamente non solo ebbero luogo, ma condizionarono i successivi quarant’anni.
Il rosso carico del sangue sparso in strada e quello metallico della Renault4 di Moro; il blu quasi azzurro del pennarello usato nelle lettere dal “carcere”; il bianco abbacinante delle grottesche ricerche intorno al lago della Duchessa; il marrone-arancio del doppiopetto di Vespa che al tg annuncia in diretta il ritrovamento di via Caetani.
Se la tecnologia del passato distorce la percezione del formidabile repertorio, quella pervasiva del presente offre le più nitide immagini anche aeree, come nelle serie americane, mentre al di sotto, tra Palazzo e palazzine, si ravviva la più vera e grande tragedia d’epoca repubblicana ne Il Condannato – Cronaca di un sequestro, film documentario di Ezio Mauro con la regia di Simona Ercolani e Cristian di Mattia (il 16 marzo su Rai3).