mercoledì 14 marzo 2018

Il Fatto 14.3.18
Pd: Perdenti, elusivi e irresponsabili
di Gianfranco Pasquino


La Direzione del Partito democratico aveva un sacco bello di domande politicamente rilevanti alle quali rispondere. Ha deciso, quasi all’unanimità, sette astenuti soltanto, di evaderle. Però è riuscita, nuovamente quasi all’unanimità, a rispondere a una domanda che nessuno ha ancora fatto. In assenza del segretario Renzi che, per correttezza politica, avrebbe dovuto presentare le sue dimissioni al più importante organismo del suo partito, spiegando perché erano necessarie e doverose, la Direzione le ha accettate senza batter ciglio. L’accettazione è stata sanzionata da un inutile tweet di Gentiloni che ha lodato “lo stile e la coerenza politica” di Renzi, facendo finta di non avere letto l’intervista di Renzi al Corriere della Sera nella quale figuravano in maniera prominente le critiche al presidente del Consiglio, il cui governo non avrebbe neppure dovuto nascere dopo la batosta referendaria, e al presidente della Repubblica.
In altri tempi, in altri partiti, dopo una pesante sconfitta elettorale, due milioni e mezzo di voti persi dal 2013 al 2018, più di sette milioni se Renzi continua a intestarsi il perdente bottino del “sì” al referendum costituzionale del dicembre 2016, la Direzione si sarebbe chiesta dove sono finiti quei voti, se si poteva/doveva fare una campagna elettorale meno personalizzata, se invece di parlare di squadra a due punte, in realtà relegando Gentiloni al ruolo di “spalla”, non fosse stato preferibile valorizzare quanto fatto dal governo. Avrebbe cercato di capire che tipo di partito è diventato il Pd: forte nelle città medio-grandi, debolissimo nei Comuni relativamente piccoli; molto votato dalle fasce medio-alte per reddito e istruzione, abbandonato dai settori popolari; evanescente fra gli elettori al di sotto dei 40 anni, presente in maniera cospicua fra gli ultrasessantenni. Il vicesegretario Martina ha accuratamente evitato di discutere di tutto questo che implicherebbe anche una critica severa a un partito divenuto personalista e una ricerca vera di un modello di partito diverso, con qualche radicamento territoriale. Che siano state le candidature paracadutate almeno in parte responsabili dell’emorragia di voti? No, la Direzione di questo tema mondano non si è occupata anche perché avrebbe portato con sé una qualche riflessione sulle modalità di scelta delle candidature e quindi sulla responsabilità non solo del segretario dimissionario, ma anche dei suoi collaboratori, tutti rieletti, seduti nelle prime file. Nulla dirò sulla legge Rosato per non sentire come replica un sospiro e il lamento: “Ah, avessimo avuto l’Italicum…” che non discuto in quanto a esito, quasi sicuramente non favorevole al Pd, ma in quanto alla qualità: cattiva legge elettorale. La Direzione non si è neanche interrogata sui più che mediocri risultati delle piccole liste coalizzate: Civica Popolare del ministro Lorenzin, Insieme dei prodiani, +Europa di Emma Bonino.
Lasciate inevase le domande politiche che segneranno comunque i problemi che il Pd in quanto partito dovrà affrontare per non scomparire, la Direzione ha dato una risposta secca e sommaria a una domanda che non è ancora stata rivolta agli organi statutari: “Staremo all’opposizione”. A prescindere momentaneamente da qualsiasi altra considerazione, il verbo è sbagliato. Poiché attualmente il Pd è al governo con Gentiloni e con un pacchetto di ministri importanti, il verbo giusto è “andremo” all’opposizione. La giustificazione di questo comportamento a futura memoria è semplicemente stupida: gli elettori ci hanno mandato all’opposizione. Sicuramente, non sono stati gli elettori che hanno votato Partito democratico a mandarlo all’opposizione. Anzi, votandolo speravano riuscisse a rimanere al governo. È tuttora probabile che gli elettori del Pd desiderino che il partito protegga e promuova le loro preferenze, i loro interessi, addirittura i loro ideali con impegno, con “umiltà e coesione politica” (seconda parte del tweet di Gentiloni che, evidentemente, sta già sognando un altro partito.
In una democrazia parlamentare multipartitica, chiamarsi pregiudizialmente fuori dalle procedure, consultazioni e confronti programmatici, che conducono alla formazione di un governo, rifiutare il proprio apporto, annunciare un’opposizione preconcetta è un atteggiamento che ho definito “eversivo”. Nel frattempo, già più di una volta, il presidente Mattarella ha richiamato tutti al senso di responsabilità. Esiste una responsabilità nei confronti dei propri elettori, ma c’è anche una responsabilità superiore, quella nei confronti della democrazia parlamentare: responsabilità nazionale. Chi si rifiuta di contribuire alla soluzione del rebus prodotto dai partiti e dai loro dirigenti agevolati da una pessima legge elettorale che ha dato loro troppo potere a scapito di quello degli elettori è irresponsabile. Se rende impossibile qualsiasi soluzione il suo comportamento merita di essere definito eversivo.