Repubblica 13.3.18
L’intervista alla storica Mary Beard
“Il primo #MeToo? Lo twittò Penelope”
Nel nuovo saggio, “ Donne e Potere”, la studiosa di Cambridge ripercorre le origini della misoginia
Partendo dalla moglie di Ulisse, zittita dal figlio Telemaco in un passaggio sottovalutato dell’Odissea
di Anna Lombardi
Il movimento #MeToo ha un precedente classico: il mito di Filomele come lo narra Ovidio.
Violentata
da Tereo, re di Tracia e marito di sua sorella Procne, subisce il
taglio della lingua per non svelare la violenza. Ma denuncia ugualmente:
tessendo lo stupro sulla tela. Non è simile a quel che fanno le donne
in questo momento? Messe a tacere per secoli ora trovano voce su
Twitter: la rete è la loro tela». Mary Beard, 63 anni, è la classicista
di Cambridge che con bestseller come SPQR ha reso accessibile a tutti,
senza mai banalizzarla, la storia dell’antica Roma. La scorsa estate
finì nella bufera per aver difeso un cartoon della Bbc che raffigurava
un centurione nero, ricordando a chi protestava che “sì, quella romana
era una società mista”. Ora torna a far discutere col suo ultimo saggio,
Donne e potere (Mondadori), basato su due conferenze tenute nel 2014 e
2017, dove traccia una storia della misoginia: cercando di spiegare
quanto siano radicati nella cultura occidentale i meccanismi che
impongono alle donne il silenzio – e tendono a escluderle dalle
posizioni di potere. Partendo da un episodio dell’Odissea: Penelope
zittita dal figlio Telemaco per aver chiesto al cantore Femio qualcosa
di meno triste del difficile ritorno da Troia degli eroi achei: «La
parola spetta agli uomini».
Perché proprio quell’episodio è fondamentale?
«È
il primo esempio letterario di un uomo che mette a tacere una donna:
dimostra che in questo ambito la cultura occidentale ha migliaia di anni
di pratica. L’ho scelto perché, solo capendo quanto sia antico il
privilegio dato alla voce maschile, possiamo comprendere il presente: e
lavorare sul futuro».
Per comprendere lo scandalo Weinstein e quel che ha comportato dobbiamo dunque andare indietro di 3000 anni?
«Certi
comportamenti non sono innati o naturali: sono culturali, tramandati
nei secoli. Nell’esporli non ho pensato certo di condannare la cultura
classica che pure offre una visione delle donne che deploriamo. Ma per
contrastarli dobbiamo capire da dove vengono».
Nel libro lei suggerisce che le donne hanno sempre tentato di rompere il silenzio. Il #MeToo ha dunque radici storiche?
«Battersi
per se stesse e le altre alle donne è sempre stato permesso. Il #MeToo
dunque rientra in uno spazio tradizionalmente concesso.
Plaudo a chi se lo è ripreso: ma non è nuovo».
Nel
libro dice di aver notato solo di recente l’episodio di Telemaco che
zittisce la madre: siamo così abituate a scene del genere da
considerarle norma?
«Temo di sì: per i miei studi ho letto e
riletto i classici notando cose nuove ogni volta, ma anche io sono così
abituata a veder zittire le donne da non averci fatto caso fino a poco
tempo fa. Lavoro a questo tema da prima del #MeToo, ma quel che sta
succedendo ha certo ravvivato la nostra sensibilità. Una volta notato
quell’episodio non puoi più non vederlo: è un “momento Penelope”
inconfondibile, che torna in molti altri esempi letterari. E qualcosa in
cui tutte le donne si riconoscono per averlo vissuto sulla loro pelle».
Una sorta di archetipo?
«Piuttosto un’attitudine tramandata e radicata nei secoli.
Essendo qualcosa di appreso possiamo disimparare ad attuarla».
Lei
nota come da allora la voce femminile in letteratura sia stata irrisa o
svilita: ancora oggi quando le donne prendono la parola rischiano
ingiurie. Accade anche a lei su Twitter: le sue battaglie coi troll sono
celebri.
«C’è ancora chi considera la competenza femminile meno
autorevole di quella maschile. E la situazione è più grave per le donne
che fanno politica: un esempio è l’immagine di Hillary Clinton
decapitata come Medea circolata in ambienti vicini a Donald Trump. O il
tentativo di zittire la democratica Elizabeth Warren mentre leggeva una
lettera di Coretta King in Senato. La scena ha dato vita allo slogan
femminista Nevertheless she persisted, nonostante tutto è andata avanti.
Quel “ nonostante tutto” indica che, anche se i tentativi di silenziare
le donne falliscono, le cose non sono cambiate abbastanza».
Il silenzio come arma contro le donne nell’America moderna come nella Grecia antica?
«Per
fortuna le cose in 3000 anni – e soprattutto negli ultimi 100 – sono
cambiate. Non sminuisco i progressi: ma c’è ancora da fare».
Nel libro racconta delle lezioni prese da Margaret Thatcher per rendere la voce più profonda...
«Nei
corsi di leadership alle donne si raccomanda ancora di abbassare il
tono per renderla più calda: più maschile. Ma perché una voce acuta non è
considerata autorevole?».
Lei conosce il passato: come vede il futuro?
«Conoscere
la storia mi rende ottimista. Dobbiamo però restare vigili. In tempi di
austerità economica i progressi che riguardano le donne subiscono i
rallentamenti maggiori».
Il suo è un invito a lavorare sul nostro linguaggio, troppo discriminatorio: dobbiamo inventarne uno nuovo?
«Dovremmo
riflettere sulle implicazioni di certe parole. In inglese “ambizioso” è
un complimento se rivolto a un uomo, ma un insulto per una donna. Il
linguaggio conta. Dobbiamo avviare un processo di aggiustamento e
trovare un più giusto modo di esprimerci».