lunedì 12 marzo 2018

Repubblica 12.3.18
Salvini-Di Maio il governo impossibile
di Stefano Folli


Diceva Ennio Flaiano che in Italia non si possono fare le rivoluzioni perché “ci conosciamo tutti”. È una verità che Steve Bannon, l’ideologo della destra americana, mostra di non conoscere quando accredita, in una conversazione con il direttore della Stampa, la sua idea di un fronte comune Salvini-M5S in chiave anti-sistema e contro l’Unione europea.
Bannon è un visionario e probabilmente un invasato che coglie e anticipa certi fermenti profondi della società, ma il suo fallimento alla Casa Bianca ne ha rivelato tutti i limiti. Nel concreto l’alleanza di governo fra i due movimenti cosiddetti “populisti”, uno di destra e l’altro di sinistra, non è all’ordine del giorno. Può essere forse una suggestione per un futuro indefinibile, ma oggi non sembra proprio un’ipotesi praticabile. È vero peraltro che non tutti la pensano così.
Ieri il presidente del Pd Orfini l’ha auspicata, fra gli altri, con l’argomento che nella passata legislatura leghisti e Cinque Stelle hanno votato insieme innumerevoli volte: dunque qualcosa li unisce. Ma è una tesi debole. I partiti, quando sono all’opposizione, mescolano inevitabilmente i loro voti. In un tempo lontano, ad esempio, Pci e Msi votavano spesso contro il governo e tuttavia non hanno mai pensato di proporsi come alternativa. Si capisce però che la tentazione di spingere Salvini e Di Maio uno nelle braccia dell’altro è molto forte dalle parti del Pd. Risolverebbe molti problemi a un partito già lacerato, stretto nella morsa del nuovo bipolarismo Lega-5S e timoroso di dover pagare con altre fratture, forse persino con una scissione destabilizzante, qualsiasi decisione che non sia il restarsene all’opposizione. Del resto, non è credibile che il Pd possa appoggiare un governo Di Maio, da un lato, o addirittura un governo Salvini, dall’altro, nelle condizioni politiche in cui oggi versa. Sconfitto il 4 marzo, debole, con un segretario dimissionario e la necessità di riflettere su se stesso, il partito del centrosinistra non può fare scelte drammatiche. Ha bisogno di tempo. E non è detto che di tempo ce ne sia molto. Qualcuno teme che il “no” alle profferte dei Cinque Stelle possa spingere il M5S verso la Lega. Ma, come si è detto, la prospettiva non è realistica.
Un conto è che Salvini e Di Maio si dividano le presidenze delle due Camere (il Senato a Calderoli, la Camera si vedrà). Altro conto è che stringano patti politici fra loro. La Lega rappresenta il Nord e le esigenze di una società produttiva che teme per la sua sicurezza e per l’eccesso di fiscalità. I Cinque Stelle sono portatori al Sud di un’istanza semi-socialista (il reddito di cittadinanza) che coincide con un’estrema richiesta di aiuto economico ai poteri pubblici in una stagione in cui le risorse sono quasi esaurite. Se incrociamo i programmi di entrambi, le due metà del paese non stanno insieme.
Peraltro anche le priorità sembrano differenti. Salvini ha soprattutto voglia di consolidare la sua egemonia sull’intero centrodestra, assorbendo quel che resta del berlusconismo; in seconda battuta egli guarda al Sud con il piano appena dissimulato di approfittare presto o tardi della delusione che potrebbe investire l’elettorato dei Cinque Stelle. Il che spiega l’obiettivo simmetrico di Di Maio: ottenere in fretta qualche successo d’immagine così da tranquillizzare il suo popolo. Per questo gli serve il governo.
Con un punto chiaro: se per la Lega espandersi a Sud è difficile, ancor di più è per il M5S mettere radici al Nord.
Intanto la rivoluzione può attendere, direbbe Flaiano. In fondo tutti conoscono tutti.