La Stampa 12.3.18
Di Maio cerca sponde vaticane per fare un esecutivo moderato
I
grillini convinti che Oltretevere non vogliano un’alleanza organica tra
M5S e Lega, e giudicano come una conferma l’editoriale di Avvenire
Roma
Luigi Di Maio preferisce Alcide De Gasperi a Steve Bannon. E si
affretta a precisarlo dopo l’intervista a La Stampa in cui il demiurgo
nazional-populista di Donald Trump si augura un governo Salvini-Di Maio,
anche se preferisce il leghista alle politiche assistenzialiste del
secondo. Ma Di Maio deve anche correre ad accreditarsi come il referente
principale del messaggio del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente
della Conferenza episcopale italiana, che sabato ha chiesto al futuro
governo di occuparsi della povera gente e di attuare quello che «nella
dottrina sociale della Chiesa chiamiamo bene comune». Di mattina Di Maio
è già sui social con una risposta che svela anche la ricerca di alleati
forti extrapolitici per arrivare al governo. Cita esplicitamente De
Gasperi («Politica vuol dire realizzare») e, senza menzionarne il nome,
Bassetti, quando accoglie il suo richiamo alla dottrina sociale della
Chiesa e al «bene comune che è ciò che noi abbiamo chiamato “interesse
dei cittadini”». Reddito di cittadinanza, eliminazione della povertà e
un welfare familiare per far ripartire le nascite. Un ricettario che
guarda indubbiamente Oltretevere, dove il grillino sta cercando sponde
importanti, e dove sa che, a differenza di Bannon, non è così gradita la
prospettiva di un governo Lega-M5S. I canali di confronto tra i
grillini e gli ambasciatori del Vaticano negli ultimi giorni sono stati
molto attivi. I rapporti, raccontano, sono ottimi, rifioriti dopo il
colloquio a Washington, lo scorso novembre, tra Di Maio e il segretario
di Stato Pietro Parolin. Quel viaggio è uno snodo cruciale nella storia
del M5S. Da quel momento il capo politico si fa vedere di più in
Vaticano e quasi scompare dall’agenda mediatica dei 5 Stelle la lotta
all’immigrazione irregolare. L’argomento è essenziale per capire il
dialogo tra le gerarchie ecclesiastiche e il grillino. All’indomani del
voto, il 6 marzo, l’unica voce dal Vaticano è quella del numero due di
Papa Francesco, il cardinale Parolin: «La Santa Sede sa che deve
lavorare nelle condizioni che si presentano. Noi non possiamo avere
quelle che vorremmo, quindi, anche in questa situazione, continueremo la
nostra opera di educazione, che richiede molto tempo» per passare ad un
atteggiamento più positivo nei confronti dei migranti, perché
migrazione non sia «sinonimo di pericolo o di emergenza». Il giorno dopo
il voto suona come un commento alle ingarbugliate elezioni italiane,
dove c’è una coalizione vincente guidata da un leader, Salvini, che ha
vinto proprio investendo sul pericolo dei migranti. E dove c’è un
movimento, arrivato primo, incerto tra le tentazioni populiste e la
Chiesa che guarda all’accoglienza e non ai respingimenti. Le condizioni
di cui parla Parolin sono queste e su queste bisogna lavorare di
persuasione per evitare che il governo italiano sbarri la porta europea
del Mediterraneo. Cinque giorni dopo, ieri, è papa Francesco a ribadire
il concetto durante la visita alla Comunità di Sant’Egidio, a mettere in
guardia dal contagio xenofobo. E siccome nelle sfere del cattolicesimo
militante italiano nulla si muove a caso, non è una coincidenza che sia
il giornale dei vescovi italiani, Avvenire, con un editoriale del
direttore Marco Tarquinio a evocare un «governo di tregua», ma «non con
una Grande Intesa a forte connotazione politica che solo uno
spettacolare colpo di scena, tipo un accordo Di Maio – Salvini, potrebbe
propiziare». Una formula che dà ragione alle convinzioni del M5S sui
timori vaticani di un’alleanza con la Lega.
Un dialogo, quello
tra M5s e Vaticano, che potrebbe aiutare Di Maio anche a stemperare le
pregiudiziali Pd o almeno di una sua parte. Oggi l’attenzione dei
cinquestelle sarà massima sulla piega che prenderà la prima Direzione
post-Renzi.