Repubblica 12.3.18
Dorsa Derakhshani
“Ho rifiutato il velo e dato scacco all’Iran”
“Erano
più interessati all’abbigliamento che ai miei risultati” Parla la
diciannovenne campionessa che ha lasciato Teheran e ora spera nella
nazionale Usa
di Anna Lombardi
NEW YORK Avevo
sette anni: le altre bambine indossavano il velo, anche se a quell’età
non è obbligatorio, ma a quel mio primo torneo di scacchi per under8 io
andai vestita da principessa, con la tiara in testa. Ero carina, i miei
genitori hanno ancora le foto. Ma la cosa straordinaria fu che vinsi:
una sorpresa, visto che gli altri avevano i loro allenatori mentre io
venivo dal nulla, avevo solo fatto un corso». La campionessa di scacchi
iraniana Dorsa Derakhshani, 19 anni ancora ride evocando il suo debutto.
Ma si rabbuia subito ricordando che un anno fa, era il febbraio 2017,
la Federazione del suo Paese le ha proibito di competere in Iran o
indossare i colori iraniani, rea di “aver danneggiato gli interessi
nazionali” giocando a capo scoperto al torneo Tradewise di Gibilterra.
Così la seconda più brava scacchista dell’Iran, 185esima nel mondo, si è
trasferita in America, accettando una borsa di studio dell’Università
di Saint Louis. Ad aprile parteciperà al suo primo torneo americano ed
entro un anno, spera, indosserà i colori della nazionale: a stelle e
strisce.
Da Teheran a St. Louis il viaggio è lungo. Cambiare vita per un velo?
«Ho
giocato per la nazionale iraniana dal 2011 al 2015. Quando
rappresentavo il mio Paese seguivo le regole, comprese quelle sugli
abiti. Il velo non mi infastidiva, ero concentrata sul gioco, non mi
sentivo in trappola. Presto mi sono però resa conto che agli uomini
della Federazione importava più come vestivo che come giocavo. Nel 2014
agli Asian Championship – che avevo già vinto tre volte – mi fecero una
scenata per certi jeans che indossavo. Risposi che non avrei giocato se
non mi lasciavano stare.
Mi fu chiaro che tenevano più al velo che alla testa che c’era sotto».
Com’è nata la sua passione per gli scacchi?
«A
4 anni sapevo già leggere e scrivere e suonavo uno strumento locale, il
Santur, tanto che mi ero perfino esibita in tv. In Iran non ci sono
scuole per bambini prodigio e dunque i miei genitori cercavano di
stimolarmi come potevano. Lezione di canto, pittura. Provarono anche gli
scacchi: me ne appassionai subito».
Sognava già di diventare una campionessa?
«In
realtà il mio primo sogno fu quello di fare la cantante. Ma in Iran le
donne non possono esibirsi in pubblico. Così scelsi qualcosa in cui
potevo competere anche se ero una ragazza. Certo non avevo le idee
chiare: in Iran ancora non c’erano scacchiste da prendere a modello».
Perché decise di lasciare il suo Paese?
«Finito il liceo ero la seconda migliore al mondo sotto i 18 anni.
Capii che per sviluppare il mio talento dovevo focalizzarmi sul gioco da sola: andando all’estero.
Con
l’aiuto dei miei genitori andai a Barcellona, in Spagna e giocai per un
club locale. Ancora affiliata alla Federazione iraniana per entrare in
certe competizioni internazionali»
Fu allora che abbandonò il
velo?
«Volevo
essere me stessa. Sapevo di essere una persona onesta che si comportava
moralmente bene, non avevo niente da rimproverarmi».
Fino a quel torneo a Gibilterra...
«Avevo
una fascia per tener fermi i capelli. Non rompevo nessuna regola.
Parliamoci chiaro: anche altre ragazze iraniane giocavano a capo
scoperto all’estero e la Federazione lo sapeva. Ci dicevano: non fatevi
fotografare. A me però riservarono un trattamento particolare. Espulsa
insieme al mio fratellino. Forse avevano capito che ero uno spirito
libero. Non sarebbero riusciti a cambiarmi...»
Un cattivo esempio?
«Mia
madre mi ha insegnato che per far accadere cose positive bisogna essere
brave persone: io mi vedo così. Semmai si sommarono diverse cose: mio
fratello Borna, 14 anni, in un torneo fu accoppiato dal computer a un
israeliano, Paese che l’Iran non riconosce. Lui non lo sapeva, ma fece
scandalo. A Teheran poi c’erano i mondiali di scacchi femminili: che
alcune campionesse boicottarono per la questione dell’hijab. Le uniche
tre iraniane vennero subito eliminate. La mia espulsione servì a
distrarre il pubblico».
Come reagì?
«Fu un atto gratuito che
mi sorprese. Non giocavo nemmeno più per loro! Nessuno mi avvertì
ufficialmente: stavo viaggiando e quando riaccesi il telefono il mio
Instagram era impazzito, all’imporvviso avevo migliaia di followers.
Un’amica mi scisse dell’Iran: “Ti hanno arrestata?”» .
Perché ha scelto di andare in America?
«Mi
hanno offerto una borsa di studio per realizzare il mio sogno,
diventare medico, che poi è la cosa che vedo più vicina al gioco degli
scacchi. Prima immaginavo una buona partita come una danza. Ora penso
piuttosto a una operazione chirurgica di successo. Dove riesci a mettere
le cose insieme in modo che tutto funzioni. E poi a Saint Louis c’è uno
dei club di scacchi migliori del mondo. Per me è un onore essere stata
ammessa».
In Iran molte donne protestano contro il velo obbligatorio finendo in prigione. Cosa ne pensa?
«Rispetto
tutte coloro che fanno quello in cui credono. Io sono molto fiera dei
miei capelli e capisco tutte le altre ragazze che lo sono.
Nessuno dovrebbe obbligarle a coprirli».
Donald Trump ha messo in discussione l’accordo con l’Iran sul nucelare: questo cambia la sua visione dell’America?
«Non mi occupo di politica. Ma l’America è il paese delle opportunità. Spero continui a offrirle a chi ha un sogno, come me.
Il mio è arrivare alle Olimpiadi.
Giocare come cittadina americana».