sabato 10 marzo 2018

Repubblica 10.3.18
L’analisi
La rifondazione della politica
di Guido Crainz


Purtroppo è difficile stupirsi dello scenario che il 4 marzo ha illuminato di luce cruda e che impone riflessioni di lungo periodo, svincolate da tattiche contingenti (e poco realistiche) che rischierebbero di appannarle.
Vi sono infatti alle spalle rovinosi crolli nel rapporto fra i cittadini e il sistema politico con cui non abbiamo fatto realmente i conti: in primo luogo il drammatico affondare della “prima Repubblica” nei primi anni Novanta e – vent’anni dopo – l’inglorioso tracollo di una stagione berlusconiana che a una larga parte del Paese era sembrata una risposta convincente a quel trauma. Certo, essa impastava fraudolentemente corde vecchie e nuove: dall’antistatalismo alle mai morte culture dell’antipolitica; dall’illusionismo dei “miracoli” agli umori fermentati nella “ mutazione antropologica” degli anni Ottanta e nella crisi dei partiti novecenteschi.
A suo modo però proponeva “un sogno”, invadendo un campo tradizionalmente occupato dalla sinistra: un nefasto inganno, ma solo la crisi economica internazionale ne mostrò la vera miseria e il vero volto. E lo travolse nel 2011, lasciando inaspriti e sperduti milioni di italiani che nell’illusionismo berlusconiano avevano pur creduto: trovò meno anticorpi allora quella “società del rancore” che si era già delineata vent’anni prima.
Nell’ulteriore precipitare della credibilità dei partiti tenne il campo per un attimo la speranza nel “ governo dei tecnici” di Mario Monti: inizialmente popolare, va ricordato, ma travolto poi anche dai suoi errori. Potè irrompere definitivamente allora in Sicilia il ciclone a Cinque stelle, che si affermò a livello nazionale anche grazie alla afasia del Pd di Bersani. E che fu frenato solo per breve tempo dall’illusione – questo si è rivelata – del Pd di Renzi e dal suo trionfo alle Europee del 2014. Un trionfo travolto presto nei suoi due cardini: il disatteso impegno a rinnovare radicalmente la politica e una visione del futuro che rimuoveva l’asprezza della crisi. Fu traumatico il primo versante, con un partito abbandonato a se stesso e non di rado, soprattutto nel Mezzogiorno, a potentati locali ben poco virtuosi: per questa via il Pd ha perso molte elezioni amministrative ancor prima del loro svolgersi, incapace di proporre una classe dirigente degna di questo nome. Ed è stato al tempo stesso letale il contrasto fra l’otti-mismo volontarista della narrazione renziana e la realtà di un paese duramente piagato.
Alle spalle del 4 marzo vi sono dunque crolli rovinosi che vengono da lontano. E non c’è da chiedersi solo quali disastri provocheranno i due vincitori di oggi ma anche quali saranno gli effetti di quei disastri sul modo di essere del Paese. Sulle sue disillusioni e sui suoi rancori. Senza dimenticare altre inquietudini che il voto ci lascia: gli elettori hanno considerato del tutto irrilevante, ad esempio, la capacità del centrosinistra di accompagnarci, sia pur faticosamente, fuori da un buio tunnel. E lo straordinario successo grillino nel Mezzogiorno andrà analizzato davvero in profondità, risalendo anche qui molto all’indietro.
Sullo sfondo, ineludibili, le domande centrali: che Paese siamo diventati, all’uscita da una crisi che ha reso dolente ogni nervo del nostro corpo sociale? Quale idea di futuro porre al centro del nostro agire collettivo? E come rimodellare un soggetto politico riformatore capace di misurarsi con questi nodi? Nessuna strategia sarà mai credibile infatti se non vi sarà una rifondazione radicale della politica, trasparente e convincente nei suoi contenuti e nei suoi attori: questa è la prima rivoluzione culturale cui la sinistra è chiamata. Se ne è ancora capace e se basterà.