Repubblica 10.3.18
Intervista a Gugelmo Epifani
“La sinistra sconfitta? Tutto inizia con la Fornero e con il caos degli esodati”
di Roberto Mania
ROMA
«Il divorzio tra la sinistra e quella che un tempo si chiamava la
classe operaia si è consumato sulla legge Fornero, sull’aumento
dell’età, sugli esodati, sulle condizioni di vita reale dei lavoratori».
Guglielmo
Epifani, 68 anni, è stato leader della Cgil, poi segretario del Pd da
cui si è staccato per partecipare alla fondazione di Liberi e Uguali.
È
stato rieletto in Parlamento grazie alla spartizione dei troppi voti
presi dal M5S in Sicilia, uno degli effetti perversi del Rosatellum.
Lei è nei fatti un deputato dei Cinque Stelle?
«No, ovviamente. Ma è vero che sono stato eletto sulla base di una legge fortemente discutibile».
In
questo paradosso c’è anche la frattura tra sinistra e ceti popolari che
votano per la Lega e - come detto da Susanna Camusso a Repubblica - per
il Movimento di Grillo. Non più i partiti della tradizione
social-comunista. Come spiega questa frattura?
«Ci sono più
fattori da considerare: le trasformazioni tecnologiche, la scomposizione
della “mitica” classe operaia, il processo di individualizzazione della
società, l’allentamento delle reti sociali. Tutto questo ha reso più
fragile intaccandolo profondamente il vecchio rapporto tra la classe
lavoratrice in tutte le sue forme e i partiti della sinistra storica. Le
ultime elezioni rappresentano lo spaccato più fedele di questa realtà
con la sconfitta più netta che la sinistra abbia mai subito».
Ha perso il Pd ma anche per Leu è stato un clamoroso flop.
«Quel
che colpisce è la simmetria tra il voto al Pd e quello a Leu: dove va
meglio il Pd, va meglio anche Leu; dove il Pd precipita, anche Leu
precipita. La sinistra prende i voti nei centri, la Lega e in Cinque
Stelle nelle periferie.
Vuol dire che raccogliamo il voto ideale ma non una condizione sociale».
Non
crede che sarebbe il caso che la classe dirigente della sinistra, lei
compreso, facesse un po’ di autocritica di fronte a questa metamorfosi
anziché limitarsi a osservare il fenomeno?
«Un po’ di autocritica
sarebbe insufficiente: siamo di fronte alla conclusione di un processo
nel quale il senso di responsabilità ha portato la sinistra a prendere
decisioni che via via hanno segnato il rapporto con i ceti popolari. Lo
spartiacque, a mio avviso, è rappresentato dall’approvazione della legge
Fornero, prima ancora che il Jobs Act. È lì che si consuma il divorzio.
E non è un caso che sulla legge Fornero, Salvini vi abbia costruito la
sua campagna elettorale mentre la questione del lavoro è rimasta ai
margini delle disputa. È stato, quello della legge Fornero, un grave
errore perché si è rotto lo schema che teneva insieme il senso di
responsabilità, l’appartenenza ideologica e la condizione sociale
proprio mentre si affievoliva il rapporto tra i ceti popolari e le reti
sociali».
All’epoca lei aveva appena lasciato la segreteria della
Cgil che si oppose in maniera flebile alla riforma pensionistica, ma un
errore che anche lei pensa di aver commesso?
«Mi rimprovero il
fatto che, come Cgil, non siamo riusciti a far passare il principio, che
pure avevamo proposto a Cisl e Uil, perché si applicasse fin
dall’inizio a tutti con la formula pro rata il metodo contributivo per
il calcolo della pensione. Si sarebbe evitata l’accusa, fondata, di
privilegiare le generazioni più anziane rispetto ai più giovani».
La
formazione di Leu non è servita ad attrarre il voto dei lavoratori, si è
rivelato una debole aggregazione elettorale, come andrete avanti?
«Adesso
comincia il nostro nuovo percorso. Abbiamo preso un milione di voti,
non è irrilevante. Daremo il nostro contributo alla rigenerazione di una
sinistra ampia che recuperi i suoi valori, la sua identità, il senso
dell’appartenenza».
In concreto?
«Mettere in campo un
progetto per la riduzione delle disuguaglianze passando dal lavoro e
soprattutto dall’occupazione dei giovani. È su questo che si giocherà il
processo di rigenerazione della sinistra».
Intanto Claudio Fava,
esponente di Leu in Sicilia, le ha chiesto di lasciare il seggio, che ha
conquistato grazie al recupero dei voti, alla messinese Maria Flavia
Timbro. Lo farà visto che negli altri collegi in cui era capolista non è
stato eletto?
«Tutti quelli che con cui ho fatto questa durissima
campagna elettorale e che si sono battuti per prendere più voti
possibili mi chiedono di restare a rappresentare i problemi del
territorio».