lunedì 19 marzo 2018

l’espresso 18.3.18
E il cattolico si scopre in Movimento
di Susanna Turco


Uragano». «Tsunami». Anno zero. «Svolta senza ritorno». Spartiacque tra «prima» e «dopo». Sono pesanti come pietre, le parole con le quali il mondo cattolico racconta gli esiti del voto e s’affaccia il nuovo Parlamento a trazione grillina e leghista, la batosta del Partito democratico (c’è chi parla di «capolinea»), la consunzione di quello che fu il centro e le difficilissime prospettive per creare un governo che conterrà l’uno l’altro vincitore o entrambi. Parole che sono eco abbastanza esatta dello sconvolgimento in corso. Forse l’onda - quella che ha attraversato il Paese, la gente comune - i vertici non l’avevano vista tanto bene: adesso si stanno attrezzando in fretta per affrontarla. Al silenzio pre-elettorale, è seguito un pressing sgranato come un rosario, che alcuni autorevoli osservatori prevedono si farà sempre più forte.
Editoriali su “Avvenire”. Analisi del voto su “Civiltà cattolica”. Prese di posizione a partire da quella del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano: «La Santa Sede sa che deve lavorare nelle condizioni che si presentano. Noi non possiamo avere la società che vorremmo, le condizioni che vorremmo avere». Un eccezionale manifesto di realismo. Cioè non è il massimo ritrovarsi un’Italia dove vincano Lega e Cinque stelle, che viri verso il gruppo di Visegrad - Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria - piuttosto che verso l’Occidente. Non è il sogno della vita, ma di necessità virtù: un governo serve, e serve il prima possibile. Servono «accordi realistici e possibili», «realistici e fattibili», insiste nel suo ultimo articolo il gesuita padre Francesco Occhetta, notista politico di “Civiltà cattolica”, vicino a Papa Bergoglio. Come l’intero mondo cattolico, guarda al suo nume tutelare di questa fase politica: il capo dello Stato Sergio Mattarella. Per questa via, dopo il «contropiede», lo scompiglio assoluto che il voto del 4 marzo ha creato sia negli ambienti di centrodestra che di centrosinistra, l’associazionismo cattolico lavora a rimettersi in pari - vaste programme - con una base che, da nord a sud, è andata in una direzione diversa rispetto a quella consueta, spiazzando il largo mondo dei moderati che da decenni si divideva lo spazio tra Comunione e Liberazione e Acli, teocon e Azione cattolica. Dall’altro lato, si cuce un dialogo con i nuovi vincitori: anzitutto coi Cinque stelle che, per predisposizione e per attenzioni d’accreditamento, appaiono meno indigeribili rispetto alla Lega di Matteo Salvini. Mentre i grillini di Di Maio smettevano di parlare di taxi del mare, il leader del Carroccio ha sì sventolato il Vangelo dal palco della campagna elettorale (facendo felice Antonio Socci) ma non ha ammorbidito le proprie posizioni né sull’Europa, né tanto meno sugli immigrati. Al contrario, come si vedrà, Luigi Di Maio ha fatto moltissimo per avvicinarsi al mondo cattolico - fino al bacio dell’ampolla di San Gennaro. Tutto per arrivare come l’altro giorno al post su Facebook in cui in sostanza diceva alla Cei: siamo con voi. Non che l’entusiasmo Oltretevere esondi. «Il linguaggio politico di Salvini è stato come un tuono sulle paure, quello di Di Maio è stato simile a un fulmine sulle istituzioni», scrive padre Occhetta, quasi appaiando i due partiti, e anzi specificando che «M5S è contrario alle regole della democrazia rappresentativa e a favore di forme di democrazia diretta. Per questo sono riusciti a far prevalere una visione messianica e moralistica della politica, sacrale e al tempo stesso laicista». Ma qualche differenza alla fine c’è. Ed è quella differenza che, sgranata l’ipotesi di un governo Lega e Cinque stelle (comunque troppo simili per sommarsi), porta a descrivere ancora come possibile un «governo guidato dal M5S con appoggio (esterno) del Pd su precisi punti programmatici». Qualcosa che sembra in grande sintonia coi vari appelli alla «responsabilità dei cattolici» che si avanzano da più parti. In ritardo, ma non tutti. A raccontare il progressivo avvicinamento ai Cinque stelle di una parte del mondo cattolico è stato più di altri (o forse unico) il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio. Che l’anno scorso (era fine aprile) con una intervista data al “Corriere della Sera” in accoppiata con la pubblicazione, sul quotidiano dei vescovi, di una delle rarissime interviste concesse da Beppe Grillo, aveva in qualche modo reso evidente il reciproco interesse dei due mondi: l’endorsement, si disse. All’epoca Tarquinio fu molto criticato, adesso appare una specie di anticipatore di tendenza. In fondo fu lui a chiarire che coi Cinque stelle i cattolici avevano molto in comune, il 75 per cento delle cose, a essere precisi: «Se guardiamo ai grandi temi, nei tre quarti dei casi abbiamo la stessa sensibilità». Oggi Tarquinio non rifiuta il ruolo di profeta grillino: «So quali sono gli orientamenti, so dove va il voto del mondo cattolico impegnato, vedo la sensibilità che c’è», dice all’Espresso. Più stupito semmai della portata del consenso raccolto dalla Lega, «ma per quel che riguarda i Cinque stelle mi aspettavo un risultato ragguardevole, perché hanno saputo intercettare il disagio reale, e sommarlo agli errori degli altri partiti. Lo si è visto benissimo nella Capitale con la sindaca Raggi: i tassisti nelle buche delle strade ci stanno lasciando gli ammortizzatori, ma continuano a votarli. Lo scontento è più forte delle gomme», dice. È proprio una prima pagina di “Avvenire” che, nel settembre 2016, fotografa l’avvicinamento ai grillini. Quando, nonostante una delle tante gaffe dell’amministrazione Raggi, proprio nei confronti di Monsignor Galantino peraltro (la sindaca era invitata con il segretario della Cei in Vaticano nell’aula Paolo VI, la sua segreteria rispose che era necessaria la presenza di un pari grado, cioè del Papa), il quotidiano dei vescovi scrisse che non si doveva buttare il bambino con l’acqua sporca, e che i Cinque stelle rappresentavano una novità perché parlavano alla gente comune. Non ai quadri. Non ai mediatori. Era dell’estate il primo contatto tra Luigi Di Maio e il Vaticano, officiato dal giornalista Pietro Schiavazzi. Dopo, soprattutto nel corso dell’anno scorso, sono arrivate prese di posizione come quella a favore della chiusura domenicale degli outlet per salvaguardare la famiglia (ripetuta sia a Pasqua che a Natale), e un progressivo allontanamento dei Cinque stelle dai tuoni contro i taxi del mare e barconi. Fondamentale è stato però il passaggio epocale delle unioni civili. Nell’inverno 2016. Quando Luigi Di Maio - allora via Beppe Grillo, che era ancora leader indiscusso - scoprì che poteva giocare sulla diffidenza che i vescovi avevano sempre covato nei confronti di Renzi. E fece schierare d’improvviso i Cinque stelle contro la stepchild adoption, proprio quando il governo aveva detto che non l’avrebbe tolta dal ddl Cirinnà. Un passaggio che i vescovi non hanno dimenticato, come si vede. E che anzi suona come una garanzia, anche rispetto a un certo «laicismo» dei Cinque stelle che pure non s’è fatto invisibile. E che anzi Famiglia Cristiana, con un celebre editoriale, giusto la primavera scorsa ha puntualmente elencato.