lunedì 19 marzo 2018

internazionale 18.3.18
Cultura 

La creazione di una cultura scritta continentale è un obiettivo lontano ma concreto per le istituzioni europee
Contributo discreto
Di Mircea Vasilescu, Dilema Veche, Romania Libri


All’ultimo salone del libro di Bucarest, nel novembre del 2017, l’ospite d’onore non era un paese, come succede di solito, ma l’Unione europea. Forse il pubblico, distratto da uno stand ben organizzato, interessanti dibattiti, conferenze, attività per bambini, dimostrazioni di cucina e degustazioni di cioccolata, non ci ha fatto caso. Ma la rappresentanza della Commissione europea, alla fiera nella capitale romena, ha messo insieme una fotografia complessiva del mondo dell’editoria e della cultura scritta in Europa. E ha offerto più di un motivo di riflessione, perché senza il contributo della Commissione il panorama culturale europeo degli ultimi vent’anni sarebbe stato molto più povero.
A lungo termine
Le norme comunitarie non regolano tutte le attività dei paesi che fanno parte dell’Unione. La cultura e l’istruzione, per esempio, dipendono dalle scelte fatte a livello nazionale. Da una parte si segue infatti il principio della sussidiarietà, che, per farla breve, prevede che le decisioni vadano prese il più vicino possibile ai cittadini. Dall’altra, cultura e istruzione dipendono quasi completamente dall’identità dei singoli paesi. Eppure gli organismi dell’Unione europea hanno sostenuto diversi progetti comunitari in questi due ambiti. Alcuni di questi programmi hanno avuto un grande successo, per esempio l’Erasmus. L’idea alla base dell’Erasmus, che ha permesso a milioni di studenti universitari di studiare per un periodo in un altro stato europeo, è molto semplice. Per questo ha funzionato. Per quanto riguarda la cultura scritta, per lungo tempo l’Unione europea non ha influenzato le politiche culturali nazionali. Prima del 1992 non esisteva nemmeno un quadro legale per adottare politiche comunitarie in materia culturale. Solo con il trattato di Maastricht l’Unione si è data la facoltà di incoraggiare e sostenere le attività dei vari stati, rispettando le diversità nazionali e regionali, ma allo stesso tempo valorizzando il patrimonio culturale comune e il dialogo interculturale. Il primo progetto di successo è stato Ariane, dedicato alle traduzioni. L’idea era arrivata dalla Commissione, e il consiglio dei ministri della cultura dei vari stati l’aveva approvata l’11 giugno del 1996 in Lussemburgo. Si trattava di distribuire 7 milioni di Ecu (la moneta virtuale adottata dal Consiglio europeo nel 1978) per finanziare la traduzione di libri. Poi però, anche se era stata trovata una posizione comune, l’accordo non fu formalizzato (il Regno Unito, alle prese con la mucca pazza non la considerò una priorità). Solo il 28 maggio del 1997 un “comitato di conciliazione” a Bruxelles decise di avviare il programma. Il suo obiettivo era “sostenere le traduzioni di opere letterarie, favorire progetti di cooperazione, formare professionisti del settore soprattutto traduttori, e supportare i premi letterari alcuni dei quali riservati alle traduzioni”. Il programma doveva durare due anni, ma proseguì ben oltre. Ormai è solo un ricordo, ma Ariane ha avuto un ruolo importante nel favorire la conoscenza reciproca delle culture europee, perché ha permesso la traduzione di letterature considerate minori e di libri di grande valore culturale ma poco appetibili per il mercato. Grazie ad Ariane i lettori francesi, tedeschi, italiani e spagnoli hanno potuto conoscere autori cechi, sloveni, lituani, bulgari e romeni che altrimenti non sarebbero stati tradotti perché ancora poco conosciuti fuori dai loro paesi. Il progetto Ariane è stato seguito da altri programmi dedicati alla cultura scritta: il premio dell’Unione europea per la letteratura, per esempio, assegnato ogni anno a degli scrittori emergenti selezionati nei 37 paesi coinvolti nel programma Cultura. I vincitori accedono a finanziamenti per la traduzione delle loro opere nelle altre lingue europee. Un miliardo di euro oggi, sotto il profilo finanziario, tutte le iniziative culturali dell’Unione sono raggruppate nel programma Europa creativa, che ha un bilancio di circa un miliardo di euro. Una sezione è dedicata alle traduzioni, ma ci sono sostegni anche per altre attività legate alla pubblicazione di libri.
Ma quali sono, vent’anni dopo Ariane, i risultati concreti di questi progetti? Il più rilevante è la crescita del numero delle traduzioni in tutta Europa, in particolare tra lingue e culture “minori”. È anche aumentata la presenza degli scrittori nello spazio pubblico: i fondi sono serviti a organizzare festival di letteratura, letture pubbliche, conferenze e incontri. Autori conosciuti e apprezzati nel proprio paese hanno ottenuto visibilità e fama a livello europeo. Senza Ariane e gli altri programmi europei, insomma, un’editoria e una letteratura europee probabilmente non esisterebbero. Un altro fatto non trascurabile è che questi programmi prevedono un sistema di finanziamenti non diverso da quello adottato dai singoli paesi per le loro politiche culturali. Infine le politiche europee che sostengono la cultura scritta hanno avuto anche un’altra conseguenza. Nel tempo hanno favorito la nascita di diverse associazioni professionali legate all’editoria, tra cui la Federazione europea dei librai, la Federazione degli editori europei e il Consiglio degli scrittori europei. In un modo o nell’altro, queste organizzazioni sono partner della Commissione e rappresentano gli interessi dei loro iscritti a livello comunitario. Contribuiscono inoltre a far conoscere più a fondo l’industria editoriale europea. La Federazione degli editori, per esempio, conduce studi sullo stato dell’industria del libro ed è impegnata in diverse attività per stimolare la collaborazione tra le varie associazioni nazionali. Certo, alcune di queste attività non sono particolarmente interessanti per i lettori. Riguardano per lo più questioni tecniche, dalla legislazione sull’editoria all’inquadramento professionale di chi lavora nel settore. Ma senza di esse i lettori avrebbero un’offerta più ristretta e la conoscenza reciproca delle culture europee non avrebbe lo stesso impatto. non deve stupire, quindi, che a una fiera del libro l’ospite d’onore sia stata l’Unione europea. Lo slogan dello stand di Bucarest era: “A casa propria, in Europa”. E ha offerto al pubblico una visione d’insieme del mondo del libro e dell’editoria a livello continentale. In questo modo i cittadini-lettori si sono potuti sentire più europei, più vicini all’idea di Europa. Purtroppo durante la fiera si è parlato di nuovo del fatto che la Romania è il paese che legge di meno in Europa. Ma questa è un’altra storia, per la quale non possiamo tirare in ballo l’Europa. È un problema che noi romeni dovremmo essere in grado di risolvere con i nostri mezzi. tanto per cominciare, potremmo ispirarci ai progetti di sostegno alla lettura che sono stati realizzati con successo in altri paesi. Considerato che facciamo ancora parte dell’Europa, sarebbe saggio imparare dall’esperienza degli altri.