internazionale 18.3.18
Cultura
La creazione di una cultura scritta continentale è un obiettivo lontano ma concreto per le istituzioni europee
Contributo discreto
Di Mircea Vasilescu, Dilema Veche, Romania Libri
All’ultimo
salone del libro di Bucarest, nel novembre del 2017, l’ospite d’onore
non era un paese, come succede di solito, ma l’Unione europea. Forse il
pubblico, distratto da uno stand ben organizzato, interessanti
dibattiti, conferenze, attività per bambini, dimostrazioni di cucina e
degustazioni di cioccolata, non ci ha fatto caso. Ma la rappresentanza
della Commissione europea, alla fiera nella capitale romena, ha messo
insieme una fotografia complessiva del mondo dell’editoria e della
cultura scritta in Europa. E ha offerto più di un motivo di riflessione,
perché senza il contributo della Commissione il panorama culturale
europeo degli ultimi vent’anni sarebbe stato molto più povero.
A lungo termine
Le
norme comunitarie non regolano tutte le attività dei paesi che fanno
parte dell’Unione. La cultura e l’istruzione, per esempio, dipendono
dalle scelte fatte a livello nazionale. Da una parte si segue infatti il
principio della sussidiarietà, che, per farla breve, prevede che le
decisioni vadano prese il più vicino possibile ai cittadini. Dall’altra,
cultura e istruzione dipendono quasi completamente dall’identità dei
singoli paesi. Eppure gli organismi dell’Unione europea hanno sostenuto
diversi progetti comunitari in questi due ambiti. Alcuni di questi
programmi hanno avuto un grande successo, per esempio l’Erasmus. L’idea
alla base dell’Erasmus, che ha permesso a milioni di studenti
universitari di studiare per un periodo in un altro stato europeo, è
molto semplice. Per questo ha funzionato. Per quanto riguarda la cultura
scritta, per lungo tempo l’Unione europea non ha influenzato le
politiche culturali nazionali. Prima del 1992 non esisteva nemmeno un
quadro legale per adottare politiche comunitarie in materia culturale.
Solo con il trattato di Maastricht l’Unione si è data la facoltà di
incoraggiare e sostenere le attività dei vari stati, rispettando le
diversità nazionali e regionali, ma allo stesso tempo valorizzando il
patrimonio culturale comune e il dialogo interculturale. Il primo
progetto di successo è stato Ariane, dedicato alle traduzioni. L’idea
era arrivata dalla Commissione, e il consiglio dei ministri della
cultura dei vari stati l’aveva approvata l’11 giugno del 1996 in
Lussemburgo. Si trattava di distribuire 7 milioni di Ecu (la moneta
virtuale adottata dal Consiglio europeo nel 1978) per finanziare la
traduzione di libri. Poi però, anche se era stata trovata una posizione
comune, l’accordo non fu formalizzato (il Regno Unito, alle prese con la
mucca pazza non la considerò una priorità). Solo il 28 maggio del 1997
un “comitato di conciliazione” a Bruxelles decise di avviare il
programma. Il suo obiettivo era “sostenere le traduzioni di opere
letterarie, favorire progetti di cooperazione, formare professionisti
del settore soprattutto traduttori, e supportare i premi letterari
alcuni dei quali riservati alle traduzioni”. Il programma doveva durare
due anni, ma proseguì ben oltre. Ormai è solo un ricordo, ma Ariane ha
avuto un ruolo importante nel favorire la conoscenza reciproca delle
culture europee, perché ha permesso la traduzione di letterature
considerate minori e di libri di grande valore culturale ma poco
appetibili per il mercato. Grazie ad Ariane i lettori francesi,
tedeschi, italiani e spagnoli hanno potuto conoscere autori cechi,
sloveni, lituani, bulgari e romeni che altrimenti non sarebbero stati
tradotti perché ancora poco conosciuti fuori dai loro paesi. Il progetto
Ariane è stato seguito da altri programmi dedicati alla cultura
scritta: il premio dell’Unione europea per la letteratura, per esempio,
assegnato ogni anno a degli scrittori emergenti selezionati nei 37 paesi
coinvolti nel programma Cultura. I vincitori accedono a finanziamenti
per la traduzione delle loro opere nelle altre lingue europee. Un
miliardo di euro oggi, sotto il profilo finanziario, tutte le iniziative
culturali dell’Unione sono raggruppate nel programma Europa creativa,
che ha un bilancio di circa un miliardo di euro. Una sezione è dedicata
alle traduzioni, ma ci sono sostegni anche per altre attività legate
alla pubblicazione di libri.
Ma quali sono, vent’anni dopo
Ariane, i risultati concreti di questi progetti? Il più rilevante è la
crescita del numero delle traduzioni in tutta Europa, in particolare tra
lingue e culture “minori”. È anche aumentata la presenza degli
scrittori nello spazio pubblico: i fondi sono serviti a organizzare
festival di letteratura, letture pubbliche, conferenze e incontri.
Autori conosciuti e apprezzati nel proprio paese hanno ottenuto
visibilità e fama a livello europeo. Senza Ariane e gli altri programmi
europei, insomma, un’editoria e una letteratura europee probabilmente
non esisterebbero. Un altro fatto non trascurabile è che questi
programmi prevedono un sistema di finanziamenti non diverso da quello
adottato dai singoli paesi per le loro politiche culturali. Infine le
politiche europee che sostengono la cultura scritta hanno avuto anche
un’altra conseguenza. Nel tempo hanno favorito la nascita di diverse
associazioni professionali legate all’editoria, tra cui la Federazione
europea dei librai, la Federazione degli editori europei e il Consiglio
degli scrittori europei. In un modo o nell’altro, queste organizzazioni
sono partner della Commissione e rappresentano gli interessi dei loro
iscritti a livello comunitario. Contribuiscono inoltre a far conoscere
più a fondo l’industria editoriale europea. La Federazione degli
editori, per esempio, conduce studi sullo stato dell’industria del libro
ed è impegnata in diverse attività per stimolare la collaborazione tra
le varie associazioni nazionali. Certo, alcune di queste attività non
sono particolarmente interessanti per i lettori. Riguardano per lo più
questioni tecniche, dalla legislazione sull’editoria all’inquadramento
professionale di chi lavora nel settore. Ma senza di esse i lettori
avrebbero un’offerta più ristretta e la conoscenza reciproca delle
culture europee non avrebbe lo stesso impatto. non deve stupire, quindi,
che a una fiera del libro l’ospite d’onore sia stata l’Unione europea.
Lo slogan dello stand di Bucarest era: “A casa propria, in Europa”. E ha
offerto al pubblico una visione d’insieme del mondo del libro e
dell’editoria a livello continentale. In questo modo i cittadini-lettori
si sono potuti sentire più europei, più vicini all’idea di Europa.
Purtroppo durante la fiera si è parlato di nuovo del fatto che la
Romania è il paese che legge di meno in Europa. Ma questa è un’altra
storia, per la quale non possiamo tirare in ballo l’Europa. È un
problema che noi romeni dovremmo essere in grado di risolvere con i
nostri mezzi. tanto per cominciare, potremmo ispirarci ai progetti di
sostegno alla lettura che sono stati realizzati con successo in altri
paesi. Considerato che facciamo ancora parte dell’Europa, sarebbe saggio
imparare dall’esperienza degli altri.