lunedì 19 marzo 2018

“Dietro la crescita economica del paese, le caratteristiche della cultura tradizionale sono crollate…”
internazionale 18.3.18
Un paese che svanisce
Il fotografo Yan Ming racconta una Cina che rischia di perdere le proprie tradizioni. Le sue immagini sembrano semplici, ma sono misteriose e complesse, scrive Christian Caujolle


Prima di trovare la sua strada e di dedicarsi alla fotografia, Yan Ming ha cambiato molti lavori. È stato professore di liceo, musicista rock, editore di riviste e addetto stampa per una casa discografica. Nato a Dingyuan, nella provincia di Anhui, in Cina, solo nel 2010 ha deciso di fare il fotografo a tempo pieno per realizzare il progetto Country of ambition. Questo complesso lavoro ha un titolo difficile da interpretare – Un paese ambito? Il paese dell’ambizione? – e offre uno sguardo amareggiato sulla Cina di oggi. Ming lo spiega così: “Il progetto rilette sulla storia della Cina e su com’è cambiato il nostro modo di vivere”. Questa frase inizialmente era stata cancellata all’ultima edizione del festival di fotografia di Lianzhou, nella provincia di Guangdong, in cui Ming ha esposto alcune delle sue opere in grande formato. Ma le immagini non sono state toccate dalla censura. Fragili e forti al tempo stesso mostrano una Cina che si fa fatica a collocare in un tempo, in una condizione e in un’identità. Il lavoro di Ming in bianco e nero, scattato in pellicola con una vecchia Rolleiflex comprata all’inizio della sua carriera, è un elogio della fotografia. Uno stile classico, dato anche dall’equilibrio del formato quadrato, sempre controllato con attenzione; una distanza giusta, mai troppo ostentata, che lascia respirare gli spazi, che permette ai personaggi di trovare il loro posto nell’inquadratura; e una tonalità rara, a mezzatinta, che usa i grigi con un’apparente dolcezza e senza l’intento di spettacolarizzare.
Un sentimento di nostalgia
Questi elementi si ritrovano per esempio nella foto della statua senza testa o in quella in cui c’è una donna che tiene un grosso pesce come un trofeo. Potremmo citare decine di immagini di Ming che dietro a un’apparente delicatezza si rivelano invece molto violente. E la stessa cosa vale per la composizione: a prima vista abbiamo l’impressione di osservare delle fotografie realizzate nel rispetto delle regole di equilibrio, costruite con eleganza a partire dalle linee diagonali. In realtà, anche se non alzano mai la voce e si lasciano leggere facilmente, sono immagini complesse. Le composizioni sono leggermente fluttuanti, a volte decentrate, e questo squilibrio, anche se lieve, contribuisce al loro fascino. Spesso si concentrano su un solo elemento – un personaggio perso sullo sfondo, un uomo appoggiato alla ruota della sua bicicletta sotto gli alberi o una bambina sul bordo del letto – e nonostante questo sono incredibilmente misteriose e indecifrabili. Che significa l’aria smarrita del ragazzo nudo sulla riva del fiume che fuma una sigaretta dopo aver fatto il bagno? È perso nei suoi pensieri o non pensa a nulla? Perché è lì da solo? “Perché” è la domanda che si potrebbe usare in tutte queste piccole enigmatiche storie: perché il monaco accanto all’albero sembra quasi sfumato? È la nebbia, un effetto della nostra visione o delle lacrime che appannano lo sguardo? Ognuna di queste fotografie – ormai sono più di cento, in una collezione che continua a crescere nel corso dei viaggi di Ming in tutta la Cina – pone un interrogativo. In ognuna di esse c’è qualcosa che in modo inesplicabile non funziona, qualcosa d’insolito: un pescatore visto di spalle, che ha metà del corpo nell’acqua e porta un cappello a forma di ombrello; un uomo robusto che annusa delicatamente un fiore, sullo sfondo di grandi edifici; o le due oche che sono gli unici esseri viventi sullo sfondo di un cantiere abbandonato e desolato. Il ricorso a questi elementi, che disturbano un universo apparentemente regolare e su cui il tempo non sembra far presa (i segni della modernità sono rari), introduce un senso di malinconia. Non sono immagini che trasmettono un sentimento di rivolta, piuttosto di nostalgia, di dolce tristezza. Constatano una condizione ineluttabile senza fornirci il finale della storia. L’invenzione di un linguaggio Tutto questo dipende forse dalla formazione letteraria di questo artista quarantenne, autodidatta, che non era destinato alla fotografia e che sta inventando il suo linguaggio con calma. Un linguaggio dell’assurdo, che rasenta a volte il surrealismo, animato da persone che si travestono da animali, da animali smarriti e da figure molto piccole ritratte in un universo troppo grande, controllato o artiiciale. Ming, che ha scelto come base per il suo lavoro Guangzhou, la più grande città costiera del sud della Cina, ha una visione molto chiara dell’intero progetto: “Dietro la crescita economica del paese, le caratteristiche della cultura tradizionale sono crollate, scomparse, ma la gente non sembra essersene resa conto. Ciò che resta della tradizione rivela una perdita d’identità, che ci porta lontano da dove viviamo. In questo modo un paese grandioso e unico, con immense risorse culturali, in futuro rischia di diventare un piccolo paese senza radici spirituali”.
Da sapere
Il progetto
 Yan Ming è un fotografo cinese nato a Dingyuan, nella provincia di Anhui. È laureato in lingua e letteratura cinese. Vive a Guangzhou, nella provincia cinese del Guangdong. Il suo lavoro è rappresentato dalla galleria See + di Pechino, che ha collaborato alla realizzazione di questo portfolio. Il progetto Country of ambition è diventato un libro pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Beijing imaginist press company.