“Dietro la crescita economica del paese, le caratteristiche della cultura tradizionale sono crollate…”
internazionale 18.3.18
Un paese che svanisce
Il
fotografo Yan Ming racconta una Cina che rischia di perdere le proprie
tradizioni. Le sue immagini sembrano semplici, ma sono misteriose e
complesse, scrive Christian Caujolle
Prima di
trovare la sua strada e di dedicarsi alla fotografia, Yan Ming ha
cambiato molti lavori. È stato professore di liceo, musicista rock,
editore di riviste e addetto stampa per una casa discografica. Nato a
Dingyuan, nella provincia di Anhui, in Cina, solo nel 2010 ha deciso di
fare il fotografo a tempo pieno per realizzare il progetto Country of
ambition. Questo complesso lavoro ha un titolo difficile da interpretare
– Un paese ambito? Il paese dell’ambizione? – e offre uno sguardo
amareggiato sulla Cina di oggi. Ming lo spiega così: “Il progetto
rilette sulla storia della Cina e su com’è cambiato il nostro modo di
vivere”. Questa frase inizialmente era stata cancellata all’ultima
edizione del festival di fotografia di Lianzhou, nella provincia di
Guangdong, in cui Ming ha esposto alcune delle sue opere in grande
formato. Ma le immagini non sono state toccate dalla censura. Fragili e
forti al tempo stesso mostrano una Cina che si fa fatica a collocare in
un tempo, in una condizione e in un’identità. Il lavoro di Ming in
bianco e nero, scattato in pellicola con una vecchia Rolleiflex comprata
all’inizio della sua carriera, è un elogio della fotografia. Uno stile
classico, dato anche dall’equilibrio del formato quadrato, sempre
controllato con attenzione; una distanza giusta, mai troppo ostentata,
che lascia respirare gli spazi, che permette ai personaggi di trovare il
loro posto nell’inquadratura; e una tonalità rara, a mezzatinta, che
usa i grigi con un’apparente dolcezza e senza l’intento di
spettacolarizzare.
Un sentimento di nostalgia
Questi
elementi si ritrovano per esempio nella foto della statua senza testa o
in quella in cui c’è una donna che tiene un grosso pesce come un trofeo.
Potremmo citare decine di immagini di Ming che dietro a un’apparente
delicatezza si rivelano invece molto violente. E la stessa cosa vale per
la composizione: a prima vista abbiamo l’impressione di osservare delle
fotografie realizzate nel rispetto delle regole di equilibrio,
costruite con eleganza a partire dalle linee diagonali. In realtà, anche
se non alzano mai la voce e si lasciano leggere facilmente, sono
immagini complesse. Le composizioni sono leggermente fluttuanti, a volte
decentrate, e questo squilibrio, anche se lieve, contribuisce al loro
fascino. Spesso si concentrano su un solo elemento – un personaggio
perso sullo sfondo, un uomo appoggiato alla ruota della sua bicicletta
sotto gli alberi o una bambina sul bordo del letto – e nonostante questo
sono incredibilmente misteriose e indecifrabili. Che significa l’aria
smarrita del ragazzo nudo sulla riva del fiume che fuma una sigaretta
dopo aver fatto il bagno? È perso nei suoi pensieri o non pensa a nulla?
Perché è lì da solo? “Perché” è la domanda che si potrebbe usare in
tutte queste piccole enigmatiche storie: perché il monaco accanto
all’albero sembra quasi sfumato? È la nebbia, un effetto della nostra
visione o delle lacrime che appannano lo sguardo? Ognuna di queste
fotografie – ormai sono più di cento, in una collezione che continua a
crescere nel corso dei viaggi di Ming in tutta la Cina – pone un
interrogativo. In ognuna di esse c’è qualcosa che in modo inesplicabile
non funziona, qualcosa d’insolito: un pescatore visto di spalle, che ha
metà del corpo nell’acqua e porta un cappello a forma di ombrello; un
uomo robusto che annusa delicatamente un fiore, sullo sfondo di grandi
edifici; o le due oche che sono gli unici esseri viventi sullo sfondo di
un cantiere abbandonato e desolato. Il ricorso a questi elementi, che
disturbano un universo apparentemente regolare e su cui il tempo non
sembra far presa (i segni della modernità sono rari), introduce un senso
di malinconia. Non sono immagini che trasmettono un sentimento di
rivolta, piuttosto di nostalgia, di dolce tristezza. Constatano una
condizione ineluttabile senza fornirci il finale della storia.
L’invenzione di un linguaggio Tutto questo dipende forse dalla
formazione letteraria di questo artista quarantenne, autodidatta, che
non era destinato alla fotografia e che sta inventando il suo linguaggio
con calma. Un linguaggio dell’assurdo, che rasenta a volte il
surrealismo, animato da persone che si travestono da animali, da animali
smarriti e da figure molto piccole ritratte in un universo troppo
grande, controllato o artiiciale. Ming, che ha scelto come base per il
suo lavoro Guangzhou, la più grande città costiera del sud della Cina,
ha una visione molto chiara dell’intero progetto: “Dietro la crescita
economica del paese, le caratteristiche della cultura tradizionale sono
crollate, scomparse, ma la gente non sembra essersene resa conto. Ciò
che resta della tradizione rivela una perdita d’identità, che ci porta
lontano da dove viviamo. In questo modo un paese grandioso e unico, con
immense risorse culturali, in futuro rischia di diventare un piccolo
paese senza radici spirituali”.
Da sapere
Il progetto
Yan
Ming è un fotografo cinese nato a Dingyuan, nella provincia di Anhui. È
laureato in lingua e letteratura cinese. Vive a Guangzhou, nella
provincia cinese del Guangdong. Il suo lavoro è rappresentato dalla
galleria See + di Pechino, che ha collaborato alla realizzazione di
questo portfolio. Il progetto Country of ambition è diventato un libro
pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Beijing imaginist press company.