Leda Galiuto, cardiologa e medico dello sport del Policlinico Gemelli di Roma
La Stampa 5 .3.18
“Per certe patologie cardiache non bastano i test di routine”
La specialista: “Italia prima al mondo nella prevenzione ma il rischio di morte improvvisa sfugge ai controlli”
di Fabio Di Todaro
L’esercizio
più difficile, nelle ore successive alla morte di Davide Astori, è
mettere in un angolo la fantamedicina. L’unica affermazione che si può
riportare nero su bianco è la seguente: «Astori è stato vittima di una
morte improvvisa, cioè non preceduta da sintomi - dice Leda Galiuto,
cardiologa e medico dello sport del Policlinico Gemelli di Roma -.
L’arresto cardiaco può essere l’evento finale, ma per individuare ciò
che lo avrebbe causato occorre attendere l’autopsia: sarà dirimente per
formulare una diagnosi corretta».
Che cosa può essere accaduto al capitano della Fiorentina?
«L’ottanta
per cento di questi decessi ha un’origine cardiovascolare. La morte può
giungere per un difetto delle coronarie, i vasi che portano il sangue
al cuore: problema che nei giovani può non essere preceduto da sintomi. O
per una malattia del muscolo cardiaco: una cardiopatia congenita o
acquisita, spesso per cause infettive. Oppure per un problema al sistema
elettrico del cuore che determina l’alterazione del ritmo e
l’insorgenza di una fibrillazione ventricolare. I restanti due casi su
dieci sono dovuti alla rottura di un aneurisma, ovvero di una
dilatazione delle pareti di un’arteria. Questa determina una emorragia,
che può essere fatale nel momento in cui si verifica nel cervello, a
livello toracico o addominale».
Come mai casi simili possono colpire anche un calciatore di 31 anni di una squadra di serie A?
«Dal
1971 la prevenzione cardiovascolare a cui sono sottoposti gli atleti
italiani non ha eguali nel mondo. I calciatori, due volte all’anno,
vengono sottoposti a un elettrocardiogramma, a un test da sforzo
massimale, a un ecocardiogramma e a una spirometria. Con questi esami è
possibile valutare il ritmo, la struttura e la funzionalità del muscolo e
delle valvole, l’irrorazione del cuore durante un’attività più intensa.
Un simile screening riduce del 90% il rischio di morte improvvisa negli
atleti, che sono più esposti a eventi simili rispetto al resto della
popolazione giovanile».
Ciò vuol dire che c’è una piccola quota che rischia di sfuggire alle maglie dei controlli?
«Ci
sono anomalie congenite del cuore che possono essere impossibili da
verificare con lo screening. In questi casi servirebbe un test genetico o
una risonanza magnetica del cuore: esami che non rientrano nel
protocollo così come la coronarografia, con cui si evidenziano le
alterazioni delle coronarie».
Quanto è sorprendente che Astori sia morto riposando e non durante una competizione?
«Questa
è l’unica anomalia, poiché di solito le morti improvvise degli atleti
si verificano quando sono sotto sforzo: perché il cuore lavora di più e
l’adrenalina aumenta le sue contrazioni. Al momento non siamo ancora in
grado di trovare una causa a tutti i casi di morte improvvisa giovanile,
come quella di Astori. Un’ipotesi su cui dovremo lavorare è quella
dell’eccessivo allenamento: al momento non ci sono riscontri a riguardo,
ma quest’ultimo caso dovrebbe portarci a valutare anche questa
eventualità».
Sarebbe cambiato qualcosa se Astori non fosse stato da solo in camera?
«In
attesa di riscontri chiari, non è possibile addentrarsi in alcuna
ipotesi. Astori stava bene e avrebbe dovuto giocare. Basta questo per
definire un’assurdità la sua scomparsa precoce».