La Stampa11.3.18
il dilemma alieno che ci affascina
di Alessandro Defilippi
Per
molti di noi il primo incontro con gli alieni avvenne da ragazzini. I
cilindri metallici e infuocati che atterravano nei pressi di Londra, i
Marziani che ne sgusciavano fuori, simili a piovre, con il loro
implacabile raggio di calore: terribili e fragili al punto da cedere
all’invisibile, ai batteri terrestri, troppo alieni per gli alieni.
Tutto iniziò nel 1897, The War of the Worlds, La Guerra dei mondi, lo
straordinario romanzo d’anticipazione di H. G. Wells. Altri alieni erano
però già comparsi nei nostri pensieri, da La storia vera di Luciano di
Samosata in poi. E molti seguirono, soprattutto nel cinema, fino al
tenero E. T. di Spielberg, o alle straordinarie varietà del ciclo di
Star Wars, o a quelle che sono a tutt’oggi le massime rappresentazioni
dell’alterità: il parallelepipedo nero di 2001 Odissea nello Spazio, di
Kubrick, e lo xenomorfo fantasticato da H. R. Giger e Ridley Scott per
Alien. Alieni buoni, come il citato E. T., capace di stagliarsi in
bicicletta contro la Luna, o come i dolci e fetali umanoidi di Incontri
ravvicinati del terzo tipo, ancora di Spielberg. Alieni incomprensibili e
terribili, come lo xenomorfo o i Marziani - sempre loro -, del
grottesco e delizioso Mars attacks!, di Tim Burton, capaci di cedere -
la testa che esplode - solo alla musica country degli States.
Ma
perché questa fascinazione per l’Altro, il diverso, in un Occidente che
deve ora fare i conti con un’alterità concreta, con le ondate di
migranti che reclamano un luogo, una vita? Perché nel 1974 nasce il
Seti, Search for Extra-Terrestrial Intelligence, un programma che si
propone la ricerca e il contatto con specie extraterrestri?
L’Altro
è ciò che ci spaventa di più, come ci fa capire Elias Canetti in Massa e
potere. L’Altro è l’ignoto, quello che sta alle nostre spalle e che
c’insidia con il suo essere al tempo stesso diverso e specchio. Lontano e
simile. Il fascino che esercita, la sua ricorrenza nell’immaginario, il
bisogno e il timore che mostriamo nei suoi confronti, ci indicano che
dentro di noi si annida qualcosa - qualcuno - che non conosciamo. Jung
lo ha chiamato Ombra, la parte di noi che non accettiamo perché
sconveniente, minacciosa, intollerante delle regole e delle abitudini, e
che proiettiamo, come sullo schermo di un cinema, all’esterno. Il
trasgressore, come trasgressori peraltro sono stati il Cristo e il
Buddha, capaci di mostrarci i nostri limiti, la nostra miseria. L’Altro è
inquietante, ma è anche colui che potrebbe redimerci, perché “Dove c’è
pericolo cresce anche ciò che salva”, come scrive Hölderlin. E
d’altronde l’Altro assoluto che l’umanità ha potuto immaginarsi, simile a
essa, profondamente diverso, non è altri che l’immagine e il desiderio
di un dio, nelle sue ingannevoli e molteplici sfaccettature. A quanto
pare cerchiamo quest’Altro perché, nonostante i miliardi di uomini che
abitano la Terra, continuiamo a sentirci soli, a mendicare un padre o
una madre. O almeno un fratello.