La Stampa 8.3.18
Pomigliano, dietro il boom dei 5 Stelle
La fine del sogno di una Torino del Sud
Nel ’68 gli studenti ci andavano per studiare la classe operaia
La crisi delle fabbriche ha decretato la lenta morte della sinistra
di Lucia Annunziata
Luigi
Di Maio viene da Pomigliano, un paese che gli ha tributato onori da
Cesare, e a cui è tornato nel giorno della vittoria, in un lodevole
sfoggio di lealtà. Ha fatto bene a festeggiare lì - c’è infatti un filo
non casuale tra Pomigliano, Luigi Di Maio e la fortuna elettorale dei
pentastellati.
Nelle cronache recenti il paese viene spesso
descritto con il termine «periferia» e in questa scelta delle parole si
misura tutta la distanza che il ceto intellettuale ha maturato con il
territorio. Forse per capire perché il voto del Sud è andato ai
cinquestelle basta raccontare qualcosa di più su questo centro urbano.
Lì
a Pomigliano noi andavamo nel 1972. Ero studentessa con l’eskimo in
pieno caos dell’università di Napoli occupata. Ci accalcavamo nelle
Cinquecento, pacchi di volantini sulle ginocchia, nelle mattine umide
delle città di mare, verso il nostro personale paradiso, il contatto con
la classe operaia, la sede della rivoluzione.
A Pomigliano, già
allora uno dei poli industriali più grandi del Sud, c’era l’AlfaSud,
gemella di Arese, rinata per l’opera degli azionisti Alfa Romeo (88%),
Finmeccanica(10%) e Iri (2%), più Cassa del Mezzogiorno e Banco di
Napoli. Il 28 aprile del 1968, alla posa della prima pietra c’era il
presidente del Consiglio Aldo Moro.
A Pomigliano c’erano «le
Fabbriche», quelle vere, metalmeccaniche, grandi, circondate da piazzali
di cemento, fari gialli, cancelli e tornelli, da cui ogni otto ore una
marea umana entrava e usciva, notte e giorno. Sembrava di stare a
Torino, a Milano, e per noi era la prova che il Sud non era più una
regione, ma era come tutto il resto del Paese. Anni dopo, negli anni
2000, quelle orgogliose fabbriche erano ridiventate un simbolo della
vergogna del Sud. Finite irrilevanti, nella nuova era della
globalizzazione, competizione con nuovi mercati del lavoro, erano
piagate da assenteismo, calo di produttività, un assurdo numero di
invalidi.
Pomigliano, diventa così il luogo di un’altra svolta
politica: vi si svolge il primo referendum su un diverso contratto di
lavoro voluto dall’amministratore della Fiat, per testare le acque di un
nuovo ciclo di modernizzazione. Il referendum diventa Marchionne contro
la Fiom dell’appena eletto Maurizio Landini. Lo scontro è in realtà tra
la difesa di un mondo del lavoro finito, e le nuove flessibilità del
lavoro odierno.
La Fiom ne esce sconfitta: il 62 per cento degli
operai vota sì. Quelle fabbriche oggi sono molto ridotte, e i primi a
saperlo sono quelli che ci lavorano. Da quel mondo di speranze
interrotte del Sud, dalla fine stessa della industrializzazione, nasce
Luigi Di Maio.
Il Mezzogiorno è tornato negli ultimi anni il luogo
in cui chi lavora è passato dal posto fisso, alla accettazione dei
lavoretti vari. La sinistra cade con la fine del modello industriale con
cui era nata. I M5S nascono nel mondo frammentato di un Sud in cui
ognuno è sempre più solo di fronte alle proprie soluzioni di vita.
Non è dopotutto un grande mistero quello che è successo. È un mondo che finisce e uno che si riaggiusta.
Il
fatto strano, colpevole se volete, è che questa svolta non è stata mai
avvertita dal Pd, nemmeno nelle zone come queste, che erano dopotutto
aree simbolo.
Di questa cecità vorrei fare un altro esempio. Da
anni polemizzo, nel mio piccolo, ogni anno, con i dati nazionali sulla
disoccupazione giovanile nel Sud: il 56% , cioè il doppio delle regioni
settentrionali (2017, Istat); la cifra dei giovani inattivi, i Neet, è
di 1,8 mln (Confindustria-Srm, 2017). Ma voi davvero credete che ci sia
una popolazione al Sud della portata di milioni che se ne sta a casa? Se
così fosse immaginate che segni dovremmo vedere di una catastrofe così
grande.
Se venite al Sud, invece, non vi troverete nulla di
paralizzato. Da anni il Sud rimane, anche nei dati statistici, una
fucina di piccole attività, la reinvenzione del lavoro - dalla
distribuzione delle mozzarelle fresche spedite ai grandi consumatori,
tipo la Regina di Inghilterra, ai vinai che hanno inventato nuove marche
e prodotti di gran successo, alle attività urbane di recupero e a
quelle del turismo. Non vedrete in giro nessun giovane nel Sud con le
mani in mano. Il fatto vero, che tutti sappiamo, è che quasi tutte
queste nuove attività sono in nero. E dunque anche i suoi lavoratori non
sono emersi. Essi vivono nel mercato parallelo della evasione fiscale,
delle regole aggirate, dei pagamenti cash. E che la malavita, la
corruzione, trovi un suo forte posto in questo mondo non è sorprendente.
Il
concetto di Sud fu fissato nella coscienza nazionale all’epoca del
governo Giolitti, con le leggi speciali del 1904 che finanziarono la
industrializzazione del Sud. Lo Stato arriva in questa regione fin
dall’inizio come elargitore di denaro, padrone e padre, la cui richiesta
di voti, in cambio di tanto interesse, diventa il paradigma di un
secondo livello della politica. Negli anni questa dipendenza e scambio
diventerà sempre più pressante, e imbarazzantemente familista.
Producendo il fenomeno che anche oggi scontiamo di un Sud politico
avvitato intorno a una casta di mandarini, cacicchi che tengono sotto
scacco gli apparati nazionali dei partiti.
Eccetto che lo Stato da
anni non ha più soldi, e la rete dei signori del voto meridionale è
diventata tanto più impotente quanto più ingombrante.
I
meridionali queste cose le sanno. E da popolo furbo, ambizioso e
industrioso, quali sono, hanno continuato la loro strada, sentendosi
sempre meno legati alle lealtà precedenti, e sempre più desiderosi di
trovarne di nuove.
Il voto ai M5S è il segnale più recente di
questo loro distacco. E, se mi si permette un paragone azzardato, in
fondo questo è il ritratto, magistralmente raccontato da J.D Vance, nel
libro Hillbilly Elegy, anche del Sud degli Stati Uniti che ha votato
Trump.
È tutto, come si vede, abbastanza semplice. Non ci sono mai
misteri in politica. Ma una lezione viene da questa storia: i
pentastellati che oggi indossano il lauro del vincitore, devono stare
ben attenti a non sedersi su quello stesso alloro.