La Stampa 8.3.18
Calenda e il rischio di una bella scorciatoia
di Federico Geremicca
Nettamente
battuto nelle urne e in uno stato di evidente confusione (accentuata
dalle dimissioni a tappe di Matteo Renzi) il Pd ha avviato la sua
discussione post elettorale concentrandola, per ora, su due questioni
che - in tempi di lucidità - avrebbe risolto in mezza mattinata:
parliamo della possibilità di affidare al neo-iscritto Carlo Calenda il
ruolo di salvatore della Patria (in opposizione al segretario) e
dell’opportunità di avviare trattative per la formazione di un governo
Cinque Stelle-Pd.
Lo stato maggiore democratico sta affrontando
entrambe le questioni in maniera evidentemente strumentale: ciò
nonostante, il fatto che non ci si renda conto del disorientamento che
il solo discutere di ipotesi simili produce tra simpatizzanti ed
elettori, è un segnale che dovrebbe preoccupare. Per ora, l’unico che
chiede apertamente di sostenere un ipotetico governo-Di Maio è Michele
Emiliano, che già ai tempi delle primarie contro Renzi e Orlando nella
corsa alla segreteria fu definito “il più grillino dei candidati”: la
sua posizione, dunque, non sorprende. Stupisce, invece, che il gruppo
dirigente democratico stia faticando ad archiviare quella proposta come
chiaro sintomo di una sorta di sindrome di Stoccolma: tanto che le
parole più nette le ha dovute pronunciare proprio Calenda, invocando
«onore e dignità». Calenda, appunto: che giusto il tempo di annunciare
l’iscrizione al Pd e si è ritrovato nel ruolo di possibile segretario:
tanto che ha dovuto chiarire che «se cercano un anti-Renzi, non sono
io». È almeno un anno che le analisi degli oppositori interni del
segretario - al netto dell’insofferenza verso certi metodi di direzione -
elencano le seguenti criticità: sottovalutazione del crescere delle
disuguaglianze, lontananza dai ceti più deboli, scarsa identità come
partito di sinistra o del centrosinistra, celebrazione esagerata delle
eccellenze italiane e totale identificazione con l’establishment.
Che
a qualcuno possa venire in mente che la risposta a tutto questo sia nel
volto, nel profilo e nelle idee di Carlo Calenda è stupefacente: per
formazione, cultura e modo d’intendere l’azione politica, infatti, non
ha nessuna delle caratteristiche che servirebbero a superare le
criticità segnalate (ammesso sia quello il punto da cui ripartire).
Immaginare Calenda nei panni del “rifondatore”, insomma, contraddice
quanto addebitato in questi anni al segretario. Certo, il suo è un bel
nome. Ma la sensazione è che il tempo delle scorciatoie e delle belle
trovate, per il Pd sia definitivamente finito.