La Stampa 7.3.18
Firenze, l’ira dei migranti
“Nel mirino dei razzisti”
In piazza dopo l’uccisione di un senegalese. Spintoni al sindaco
di Francesca Paci
«D’accordo,
l’assassino era un depresso, un malato di mente, non risulta fosse
militante di un bel niente, ma resta il fatto che ha percorso quasi un
km con la pistola in tasca incrociando tanta gente e decidendosi a
sparare solo quando si è trovato di fronte un africano». Tra i
senegalesi radunati sul Ponte Vespucci per commemorare il connazionale
Idy Diene, ucciso lunedì mattina dal pensionato Roberto Pirrone, la
rabbia si sovrappone alla paura. «Negli ultimi mesi il clima nei nostri
confronti è cambiato, faccio la cameriera a Firenze dal 2004 ma ora per
la prima volta sento dagli sguardi intorno a me di essere nera, diversa,
estranea», dice Nancy piangendo davanti alla foto e ai fiori deposti
nel punto in cui è morto l’amico arrivato da Dakar all’inizio degli Anni
Duemila proprio come lei, regolare come lei, occhi buoni come i suoi.
Almeno
trecento persone, tra cui moltissimi stranieri, senegalesi, somali,
nigeriani, stazionano sul ponte presidiato da agenti in tenuta
antisommossa. Il ricordo di lunedì sera, quando la manifestazione per
Idy è degenerata in riots con fioriere e scooter ribaltati nei pressi
della stazione, grava l’aria di una tensione palpabile che esplode
all’arrivo del sindaco Nardella. Una decina di antagonisti italiani
carica gli animi, volano insulti in più lingue, qualcuno spintona,
sputa. E quando il primo cittadino si allontana, scortato, ribadendo la
sua condanna dell’omicidio ma anche la tolleranza zero contro ogni
reazione violenta viene raggiunto dal portavoce della comunità
senegalese Pape Diaw che chiede venia per le intemperanze, auspica
l’unità cittadina, si fa garante della sua gente spaventata, ferita,
tesa.
La strage di Macerata è lontana da qui, nessuno vuole
associare il gesto di Pirrone a quello ideologico di Luca Traini e men
che mai al ricordo bruciante di Gianluca Casseri, il cinquantenne
fiorentino appassionato di Tolkien e CasaPound che nel 2011 freddò con
la sua magnum altri due senegalesi, Samb Modon e Diop Mor, nomi sbiaditi
sulla lapide anti-razzista piantata in un angolo di piazza Dalmazia, a
pochi minuti in auto da Ponte Vespucci. Nessuno collega niente, anche se
Idy aveva preso in carico la figlia oggi adolescente di Samb e sposato
la sua disgraziata vedova. Ma tutti la pensano come Dia Papa Demba,
sindacalista della Uil di Pontedera, senegalese di origine, da 25 anni
toscano d’adozione: «Distruggere le fioriere è assurdo ma siamo
arrabbiati. Qualcosa si è rotto in Italia. Ho la cittadinanza, domenica
ho votato, i miei figli sono nati qui, vivo in una casa di proprietà e
mi chiamano immigrato. Non capisco più cosa significhi essere italiano».
Un ragazzo accanto a lui sventola il cartello «Basta razzismo».
La
prova del cambio di stagione è nel paragone con il 2011, osserva
Mercedes Frias, nata 50 anni fa a Santo Domingo e cresciuta a Prato:
«Allora, dopo i morti di piazza Dalmazia, un milione di persone scese in
piazza per dire no al fascismo, oggi siamo quattro gatti. In questi
anni il razzismo è stato tollerato, è diventato un’opzione politica
legittima. Indipendentemente da quale fosse l’intenzione di Pirrone, noi
di pelle scura siamo terrorizzati».
Ci sono tanti fiorentini a
fare da scudo alla storica tolleranza locale, quelli con i capelli
bianchi che si fanno il segno della croce e i più giovani che digrignano
i denti in direzione della polizia. C’e l’ex insegnante in pensione
Cristina che porta una rosa sul memoriale di Idy e dice di avvertire
«qualcosa di torbido nascosto sotto la patina borghese della città».
Qualcuno benedice, nel male, il fatto che la vittima fosse regolare,
«altrimenti la sua condizione di clandestinità sarebbe diventata una
colpa».
La rabbia bersaglia random e colpisce «la retorica
identitaria della campagna elettorale» cosi come la timidezza della
istituzioni nello stigmatizzare le parole dell’odio. Arriva Diarra Fame,
rappresentante dell’ambasciata senegalese che 7 anni fa accompagnò
all’aeroporto le salme di Samb Modon e Diop Mor. Ripete di confidare
nella giustizia italiana ma «pretende» giustizia. L’umore è cupo come il
cielo.
«Firenze resta un’isola felice di convivenza ma ora, a
urne chiuse, dobbiamo lasciarci alle spalle questa insana campagna
elettorale e ripartire tutti insieme» ragiona l’imam Izzedin Elzir
pregando con gli altri per Idy. Si schiera con il sindaco contro ogni
violenza e ringrazia la vicinanza «fondamentale» dell’amministrazione.
Il momento è delicatissimo. Lo sa anche Diye Ndiaye, assessore
all’Istruzione del Comune di Scandicci e presidente dell’Associazione
senegalesi, oltre 15 mila solo in Toscana. «La gente ha paura ma il mio
compito è calmare gli animi». Piove, smette, piove ancora. Ombrelli come
quelli che vendeva il povero Idy si aprono a proteggere dall’acqua e
dal resto.