mercoledì 7 marzo 2018

Corriere 7.3.18
«Io due volte vedova vi dico fermiamo l’odio Non siamo dei nemici»
Compagna di Diene e moglie del senegalese ucciso nel 2011
di Marco Gasperetti


PONTEDERA (Pisa) Il dolore di Rokhaya Kene Mbengue si consuma nella saletta di un piccolo appartamento nel centro di Pontedera. Accanto ad amici e parenti, bambini che tentano qualche gioco, guide spirituali arrivate dal Senegal, uomini e donne con il Corano. Due assassini italiani le hanno ucciso due mariti. Samb, massacrato sette anni fa nella strage di piazza Dalmazia e Idy, ucciso lunedì sul ponte Vespucci. Due volte moglie, due volte vedova.
«Un dolore profondo, che si è ripetuto inatteso. Ma che adesso è così devastante che non riesco a combatterlo solo con la mia forza. Mi sento perduta, paralizzata», sussurra con la testa china coperta da un velo verde. Nella mano destra ha un rosario musulmano, in quella sinistra un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. È seduta su un tappeto e a volte sembra non avere la forza di sorreggersi. Le amiche l’accarezzano, le stringono le mani, cercano di sorriderle. Accanto a lei un neonato in braccio alla mamma che, col pollice in bocca, sorride.
Se la sente di parlare ancora, signora? Kene alza lentamente lo sguardo e annuisce. «Sì, io voglio parlare agli italiani — risponde —. Voglio raccontare loro, con rispetto e stima, che noi gente del Senegal non siamo qui per delinquere, per fare male a qualcuno. E voglio anche dire, agli italiani, che non siamo venuti in questo Paese per trasformarci in assassini. Siamo brava gente, che lavora per mandare avanti la nostra famiglia. Lavora, lavora…».
Kene faceva la badante anche lunedì quando le hanno telefonato per dirle che avevano ammazzato Idy. «Hanno ucciso la mia seconda vita», ha detto alle amiche prima di chiudersi in un silenzio impenetrabile.
Mentre parla, davanti a decine di persone sedute, chi sui tappeti stesi sul pavimento, chi sulle sedie sistemate a cerchio come si fa per gli ospiti, una continua processione arriva silente, s’inchina rispettosa, ascolta.
«Noi lavoriamo tanto, facciamo il nostro dovere ogni giorno — continua Kene — e allora agli italiani mi permetto di fare un appello con il cuore. Dico loro di smetterla per favore di guardarci come nemici, come diversi. Difendetevi non da noi ma dal demone del razzismo. E vi prego non uccideteci come qualcuno ha fatto con i miei due miei mariti. Adesso ci sono famiglie non solo nella prostrazione profonda, ma senza più sostentamento. Io ho una figlia in Senegal e Idy aiutava anche lei, mandava soldi, l’aiutava a crescere».
Già la figlia. Ha 17 anni, una bella ragazza, intelligente: suo padre era Modou Samb, l’uomo ucciso per strada a Firenze nel 2011. «Io spero di vederla presto questa mia figlia unica — continua — e ho un sogno che potrebbe diventare realtà. A dicembre ho ottenuto la cittadinanza italiana e così posso chiedere il ricongiungimento. Però adesso ho paura a uscire di casa, come sono impaurite molte amiche. Quello che mi è accaduto è terribile. E allora dico mai più, mai più».
È il momento della preghiera. Serigne Pape Ndieguene guida spirituale arrivato da Dakar, recita un sermone del Corano. «Che parla della pelle degli uomini — spiega Diop Mbaye, presidente del Casto, il coordinamento dei senegalesi in Toscana — che davanti a Dio non ha colore. Non esiste nero, bianco, giallo». Poi anche Diop fa un appello. «Vorrei che il sindaco di Pontedera proclamasse il lutto cittadino — dice —. Sarebbe molto importante per la nostra comunità. Un segnale per sentirci tutti uniti. Italiani e senegalesi. Bianchi e neri».