mercoledì 7 marzo 2018

La Stampa 7.3.18
Macaluso: Pd al capolinea, una somma di comitati elettorali
“Al Sud masse lasciate sole davanti alla demagogia”
di Andrea Carugati


«Quando nacque il Pd nel 2007 scrissi un libro dal titolo “Al capolinea”, che criticava la fusione di due stati maggiori arrivati appunto al capolinea. Mi pare che oggi questo nodo sia arrivato al pettine...». Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci e della Cgil, 94 anni da compiere il 21 marzo, è uno dei più attenti osservatori della sinistra italiana.
Perché questo tracollo dopo 5 anni di governo non negativi?
«Mi faccia partire dal Mezzogiorno. Qui più che altrove il Pd ha pagato il fatto di non essere un vero partito, ma una somma di comitati elettorali. Nel Sud spontaneismo, trasformismo e clientelismo sono elementi naturali. Il Pci provò a contrastarli con un partito e soprattutto con una cultura politica di massa. Il partito parlava con le persone, con i ceti più disagiati, dava una dimensione collettiva che andava oltre l’interesse del singolo. Ora queste masse sono state lasciate sole davanti alla demagogia dei 5 stelle, alle promesse illusorie di poter avere 800 euro al mese. Non c’era nessuno nelle periferie, in mezzo al popolo a contrastare questo vento, tutto è stato affidato ai tweet e alle tv, e al vertice è mancato un collettivo in grado di discutere davvero di dove stava andando la società. Questo riguarda il Sud, ma anche aree come l’Emilia, dove le case del popolo facevano da filtro degli umori popolari».
I partiti italiani sono cambiati già prima della nascita del Pd.
«I giovani che nel 1994 presero le redini del Pds hanno avuto come unico obiettivo andare al governo. Giusto, ma per farlo hanno perso di vista la funzione del partito, la battaglia culturale, il rapporto con gli intellettuali. In questi anni i dirigenti sono stati scelti solo sulla base della fedeltà a Renzi, non per le capacità organizzative».
Il M5S è erede della sinistra come dice il sociologo De Masi?
«Se guardiamo alla base sociale in parte è vero. Ma manca del tutto una cultura politica: un contadino comunista siciliano degli Anni Cinquanta era più colto di Di Maio. C’è nel M5S una forma di sinistrismo, che si sposa con l’antipolitica e con la negazione della democrazia parlamentare».
C’è un futuro per il Pd?
«Prevedo una trasformazione, dopo una dura battaglia. Non considero sincere le dimissioni di Renzi, continuerà a fare le sue guerriglie per cercare di tornare, ma si aprirà una dialettica vera. Il partito non è fatto solo di renziani, ci sono molte persone in grado di guidarlo: Delrio, Orlando, Franceschini, lo stesso Calenda».
Il Pd dovrebbe governare coi 5 stelle?
«Renzi ha ragione su questo: non si può aderire adesso al progetto degli avversari, ma fermarsi e aspettare quello che farà il Capo dello Stato».
Come giudica il risultato di Liberi e uguali?
«La scissione è stata una sciocchezza, la gente ha capito che il voto a Leu era inutile, era chiaro dove andavano a parare».