La Stampa 7.3.18
“L’onda populista è solo all’inizio
l’euro non può sopravvivere”
Bannon,
l’ideologo di Trump: in Italia comincia l’implosione europea “I
migranti penalizzano gli operai. Ora un’Internazionale sovranista”
di Marco Bresolin
«Per
vedere il futuro dell’Ue bisogna guardare al voto italiano. Salvini lo
ha detto: l’Euro non sopravviverà. Tutto è nelle mani dei cittadini. E
l’onda populista è solo all’inizio, perché la Storia è dalla nostra
parte». Steve Bannon ha davanti ai suoi occhi il disegno
dell’Internazionale Populista che vuole costruire. Che poi sarebbe
un’Internazionale Sovranista, un ossimoro che rischia di portare a un
tutti contro tutti (dalla guerra sull’acciaio in giù). Ma che in questa
fase storica ha le urne dalla sua parte.
L’ex stratega di Donald
Trump traccia un filo che parte dalla Brexit, arriva fino a Washington e
poi torna in Europa. In Italia, per essere precisi, dove «due terzi
degli italiani hanno votato per i partiti anti-establishment». Nel
conteggio, l’ex stratega di Donald Trump ci infila anche Berlusconi.
«Che è stato Trump prima di Trump». E vede nel voto italiano una tappa
importante del percorso che potrebbe portare all’implosione dell’Europa.
«I britannici hanno votato e ora sono fuori. Se votassero gli italiani,
non so cosa succederebbe. A Bruxelles e alla Bce devono iniziare ad
ascoltare i cittadini. Quando hai un’ondata di migranti che si riversa
sul Sud Italia, e il peso cade tutto sugli operai italiani, dovresti
capire che qualcosa non va. L’immigrazione va gestita in Africa, non in
Italia».
La sua prima apparizione pubblica in Europa è in una sala
da concerti a Nord di Zurigo. Fuori, sulla Marktplatz di Oerlikon, la
protesta dei movimenti antifascisti. Dentro, al di là dei blindatissimi
controlli di sicurezza, una platea composta dalla borghesia medio-alta
svizzera. Le mogli lasciano la pelliccia al guardaroba, i mariti
ingannano l’attesa al bancone del bar con una flûte di bollicine. Tra il
pubblico non traspare la rabbia delle classi sociali più povere, di chi
si è gettato tra le braccia dei partiti populisti perché non ce la fa
più e vuole cambiare tutto.
Tra i 1500 che hanno riservato il loro
posto da settimane, i giovani quasi non si vedono. Tanti over 60. Più
spaventati dagli effetti della mondializzazione che vittime. Gente per
cui il cambiamento è un rischio da evitare, non una richiesta da urlare
nelle orecchie dei politici. «Noi svizzeri non siamo dei rivoluzionari»
gli dice Roger Koppel, direttore del settimanale «Die Weltwoche» ed
esponente dell’Unione Democratica di Centro, formazione della destra
conservatrice elvetica
Bannon spiega il perché di questa tappa
svizzera, ricordando il referendum del 1992, con il quale gli elvetici
respinsero l’adesione allo Spazio economico europeo. «Democrazia
diretta, libertà, prosperità. Questo è un Paese sovrano!» strappa gli
applausi della platea. Gli svizzeri che non hanno voluto entrarci, poi i
britannici che hanno voluto uscirci. E l’Italia?
Bannon è
arrivato qui dopo la tappa nel nostro Paese in cui ha incontrato - in
maniera assolutamente riservata - alcuni dirigenti politici italiani.
Leghisti, ma a quanto pare anche di Forza Italia. Ieri a Zurigo ha visto
anche Alice Weidel, leader dell’ultradestra tedesca AfD. L’ex
consigliere di Trump sta muovendo i primi passi per lanciare una sorta
di rete populista nel Vecchio Continente da agganciare all’«alt-right»
statunitense. Vuole aggregare le forze anti-sistema per dare la spallata
ai governi europei e alle istituzioni di Bruxelles. Le prossime
elezioni Ue del 2019 saranno un evento-chiave.
«Bisogna andare a
votare - arringa la platea - e vedrete che le cose cambieranno.
Elezione, dopo elezione. Guardate cosa è successo in Gran Bretagna, in
Polonia, in Ungheria, in Repubblica Ceca e in Austria. Anche in Francia e
Germania. Vero, il Front e l’Afd non hanno vinto, ma il movimento sta
crescendo». Certo, dice, «in ogni Paese la situazione è diversa, ma
dobbiamo fare attenzione ai fenomeni globali». E cita la Cina. «La gente
deve avere paura della crescita della Cina, soprattutto in Europa. È un
fenomeno senza precedenti nella storia dell’umanità. Diventano più
potenti, ma restano uno Stato totalitario. Senza libertà, senza
democrazia. È un’espansione geo-politica a cui dobbiamo rispondere». Poi
però rivela che Xi è il politico più apprezzato da Trump.
E torna
sulla guerra commerciale. Che, assicura, non è una reazione istintiva
di Trump. «Ci ha messo otto mesi per decidere. Ha fatto fare un’indagine
approfondita. Lui governa da imprenditore, vede i problemi e trova le
soluzioni. È uno che ascolta molto, e che ama il confronto». Miele per
il suo ex capo, anche se l’ascesa della figlia Ivanka alla Casa Bianca
lo ha fatto fuori nell’estate scorsa. Ecco: come sono ora i rapporti con
il Presidente? I due continuano a parlarsi? «Diciamo che io sono in
modalità ascolto. Abbiamo avuto alti e bassi - scherza -, ma i nostri
avvocati si parlano parecchio... Io però lo amo ancora».